sabato 29 aprile 2017

Le voci

Le voci

Racconto


Porca miseria! Era in ritardo e si era pure persa. Non essere capace a leggere le cartine era grave e non avere il gps era pure peggio.

Da quello che ricordava non doveva attraversare un bosco ma una città. Menomale che ne stava uscendo e forse così avrebbe incontrato qualcuno a cui chiedere informazioni. E magari far benzina… accidenti! Il serbatoio era quasi vuoto. Ma non aveva fatto il pieno prima di partire? Forse l’auto aveva qualche problema o sbagliando strada l’aveva allungata....
“E come mai è così buio ?” si chiese.
Lasciata l’oscurità creata da quegli enormi castagni così alti da non lasciarle intravedere il cielo, aveva sperato nel sole e invece…. “Ci mancava ancora il temporale!”
Tuoni e fulmini a raffica e là, nel prato alla sua sinistra… la casa… quella che aveva sognato la notte precedente e quella prima ancora. Da settimane la sognava ormai.
Vecchia, in pietra, con una torretta su un lato… costruita su un terreno incolto a fianco di un fosso pieno di acqua… sotto un cielo nero che illividiva a causa dei lampi violenti come esplosioni nucleari.
E quella finestra a piano terra illuminata...
L’auto inchiodò improvvisamente come se avesse premuto di colpo il freno ma lei non lo aveva nemmeno sfiorato.
E fu così che accadde.

Troppo tardi per tornare indietro. Troppo tardi per trovare una via di salvezza.
La pioggia aveva bagnato ogni cosa. Il fosso intorno alla casa straripava come un fiume in piena. Non avrebbe mai desiderato compiere un gesto a cui non era abituata. Gli era stato proibito sin da bambina. Non era avvezza a chiedere aiuto a degli sconosciuti. Cresciuta in un mondo ovattato e cullato dall’amore dei suoi cari, viziata oltre ogni misura, orgogliosa quanto basta mai avrebbe osato rivolgersi ad un estraneo.
“Una donna non chiede mai. Mai!”. Le vennero in mente le parole che spesso le ripeteva sua madre sin da bambina. Le sembrò completamente assurdo che le ricordò proprio allora. Avrebbe voluto urlare, piangere. Disperò.
“Una donna deve sapersela vedere da sola. In ogni situazione!”. I ricordi e i consigli di sua madre si alternavano in un groviglio di pensieri senza eguali. Si chiedeva, dimenandosi, se fosse mai uscita viva da quel labirinto in cui si era cacciata.
Imprecò. “Porca miseria!”. E fu così che accadde. All’improvviso.
Si decise.
Scese dalla macchina in tutta fretta e nella corsa disperata verso la casa inciampò. Cadde riversa nel fango, nella terra, nell’acqua. Rialzandosi, imprecò mille e mille volte, urlò contro il cielo, contro il nero che avvolgeva ogni cosa, ogni anima, ogni illusione, ogni speranza.
L’unica sua salvezza le sembrò provenire da quella flebile luce della casa. L’unico segno di vita e di speranza. Sentì uno strano calore provenire dal ventre. E si lasciò avvolgere da questo strano tepore. Si avvicinò carponi allo strano portone di casa. Si guardò attorno. A fatica cercò di picchiare il batacchio.
Attese. E attese. E attese ancora… e sperò con tutto il cuore che la speranza non si tramutasse in illusione.
Poi udì una voce d’oltretomba: “La stavo aspettando”.

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