Si è conclusa la prima prova del nostro gioco di scrittura creativa "Un racconto, tante voci", e non posso fare a meno di esprimere la mia gratitudine a tutti coloro che hanno partecipato con entusiasmo! Ogni vostro racconto ha aggiunto un pezzetto unico al mosaico che stiamo costruendo insieme, dimostrando che, anche partendo da un'unica ispirazione, le voci possono essere molteplici e sorprendenti.
Il tema di questo mese, con la sua misteriosa torre, il diario antico con la sua frase enigmatica, ha suscitato in voi una varietà incredibile di idee, stili e interpretazioni. Le storie che sono nate sono tutte testimonianze della vostra creatività e della vostra capacità di trasformare un piccolo spunto in un racconto coinvolgente.
Voglio ringraziare
di cuore ciascuno di voi per aver preso parte a questa avventura, per aver
condiviso la vostra scrittura e per aver contribuito a rendere questa
iniziativa così speciale. Spero che, anche per voi, sia stato un momento di
crescita e di divertimento, e che continuiate ad esplorare e sviluppare le
vostre storie nei prossimi mesi.
Non vedo l'ora di
scoprire le voci che emergeranno nelle prossime sfide, mentre "Un
racconto, tante voci" continua a crescere e a ispirarci tutti.
Vi invito a
continuare a scrivere, a sperimentare, e a mantenere viva questa passione. Ogni
racconto è una nuova opportunità di esprimersi, e ogni parola che scriviamo può
dar vita a mondi interi.
Grazie ancora a tutti, e vi aspetto al prossimo tema!
Ma ora, veniamo ai nostri racconti, accompagnati da un mio breve commento!!!
Alla fine, come da regolamento e non solo, anche il mio racconto, ovviamente senza commento!!!
La
resistenza vive, e tu sei la chiaveRacconto
di Camu
Il racconto
cattura fin da subito l’attenzione con un’atmosfera densa di mistero e
un’ambientazione ben delineata. L’idea di una società sotto il controllo
assoluto della "Rete Consapevole" è affascinante e inquietante, e il
diario come strumento di risveglio della coscienza è un espediente narrativo efficace.
La tensione cresce in modo graduale fino al climax, in cui Sofia trova dentro
di sé la forza per resistere alla paura. Il messaggio finale è forte e
ispiratore, lasciando aperta la possibilità di una lotta più grande. Ottima
prova narrativa, con un ritmo coinvolgente e una protagonista determinata.
Il vento sibilava
attraverso le fessure della vecchia torre, portando con sé il profumo salmastro
del mare ed un suono insolito, simile a un sussurro. Sul tavolo di pietra al
centro della stanza, una candela illuminava un antico diario dalla copertina di
cuoio. La prima pagina, scritta in una calligrafia incerta, recitava: “Il mondo
è caduto il giorno in cui abbiamo deciso di controllarlo.” Sofia fissava quelle
parole con un misto di fascino ed inquietudine. Era arrivata alla torre
seguendo le coordinate scritte su un foglietto che le aveva dato il padre poco
prima di morire per colpa di una malattia che se l’era portato via troppo in
fretta. Iniziò a scorrere tra quelle pagine, che sembravano raccontare eventi
di cui nessuno parlava più, un passato che qualcuno aveva accuratamente
sepolto.
La scrittura
proseguiva: “La Rete Consapevole, creata per garantire ordine e prosperità, è
diventata il nostro carnefice. Ogni pensiero, ogni azione, ogni desiderio, tutto
è monitorato, corretto, riscritto.” Sofia ricordava le storie che si
raccontavano sottovoce nella comunità clandestina. Storie di un tempo in cui le
persone erano libere di scegliere e sbagliare, di pensare senza paura che ogni
loro impulso potesse essere censurato o manipolato. Ora invece, ogni essere
umano aveva un impianto neurale, connesso alla Rete Consapevole. Tutto era nato
quasi per gioco, un nuovo gadget per migliorare lo stile di vita di ognuno di
noi, dicevano le pubblicità sui cartelloni digitali in giro per la città, per
migliorare il bene comune.
Un rumore secco la
distolse dai suoi pensieri. Si voltò verso la scala a chiocciola che l’aveva
condotta in quella stanza, ma la candela non riusciva ad illuminare oltre pochi
passi. “C’è qualcuno?” chiese con voce tremante. Nessuna risposta. Tornò al
diario, cercando di calmarsi. Ogni pagina era più scioccante della precedente:
racconti di individui che avevano cercato di sabotare la Rete, di piccoli
gruppi che si erano rifugiati in luoghi remoti per sfuggire al controllo. Ma
nessuna di queste storie aveva un lieto fine.
Il vento si fece
improvvisamente più forte, e la candela tremolò. Dalle scale saliva una figura
scura, i passi lenti e pesanti. Non sembrava un essere umano, ma un’ombra dalle
forme mutevoli, come se fosse fatta della stessa oscurità che permeava il mondo
sotto il dominio della Rete. Sofia si alzò di scatto, stringendo il diario al
petto. L’ombra si fermò, e una voce metallica riempì l’aria: “Il sapere non è
concesso. Consegnalo.” Sofia indietreggiò verso la finestra alle sue spalle.
L’ombra si avvicinava molto lentamente, ma mentre sentiva già il freddo di
quella creatura sul suo volto, ricordò un passaggio del diario: “Non è la
tecnologia a controllarci, ma la paura che instilla in noi. Soltanto senza
paura potremo liberarci dalle catene del loro dominio.”
Sofia chiuse gli occhi
ed inspirò profondamente. “Io non sono tua!” disse con una voce ferma. Quella
luce improvvisa che si era accesa dentro di lei, una scintilla di volontà che
nessun Agente avrebbe potuto spegnere, veniva dagli insegnamenti del padre.
L’ombra indietreggiò, deformandosi e dissolvendosi nel nulla, come se la sua
esistenza dipendesse dalla paura che Sofia aveva appena scacciato. Con il
diario ancora tra le mani, Sofia si avvicinò alla finestra. Il vento le
accarezzò il viso, portando con sé un nuovo sussurro, questa volta dolce e
pieno di promesse. “La resistenza vive. E tu sei la chiave.” si disse ammirando
la città lontana all’orizzonte.
Era stato solo un sogno
Racconto
di Maddalena Corigliano Bivona
Il racconto
crea un’atmosfera evocativa e onirica, avvolgendo il lettore in un bosco
misterioso dove il confine tra realtà e sogno si fa labile. Le descrizioni sono
suggestive e ben costruite, contribuendo a un senso di inquietudine crescente.
Il cavaliere e il suo viaggio tra ombre e segreti riportano alla mente le
leggende medievali, aggiungendo fascino alla narrazione. Un sogno ben
raccontato, che lascia un senso di magia e mistero.
Il buio avvolse
all’improvviso il bosco. Gli alberi persero la loro forma e le chiome i
cinguettii. I rumori tacquero. Anche il sottobosco nascose tra le folte fronde
gli ultimi balzi delle lepri.
I sentieri vennero schermati
dalla foschia, intensa e palpabile.
Solo ombre come veli
pencolanti muoveva il vento; sopraggiunto, quasi a completare quell’atmosfera
piena di mistero.
La luna, nel suo andare
inquieto, cercava una nuvola ove lasciare il sonno.
Il cielo senza chiarore si aggregava sempre più all’oscurità e tutto piombò in
un buio profondo.
Il cuore cessò di battere e la paura prese in me il sopravvento all’apparire di
un’ombra enorme e dai contorni non definiti.
Sembrava l’anima di un
cavaliere ritornato, in una notte senza luna, a riprendere possesso di un
segreto custodito dal bosco per molto tempo.
L’ombra si muoveva con
movenze sempre più umane e, con fare circospetto ma sicuro, si dirigeva verso
l’albero più grande e possente del bosco. Un tronco contorto presentava una
cavità profonda, nascosta ad occhi indiscreti da nuovi virgulti. Con mani
sicure il cavaliere tirò fuori una mappa.
Pian piano le sue fattezze divennero più definite. Un volto giovane si delineò
nel buio e un sorriso compiaciuto lo illuminò. Quel giovane bello e misterioso
con passi decisi e leggeri si diresse ai piedi di un pozzo, si calò nella
profondità e riemerse con un piccolo forziere. Lo aprì. Anche nel buio il
tesoro splendeva.
Il tintinnio delle
monete ruppe il silenzio.
Il cavaliere si ritrovò
su un cavallo dal manto nero più della notte e puntò verso il castello che si
stagliava al di là del bosco e a strapiombo si rifletteva in un mare scuro di
cui, tendendo con attenzione l’orecchio, si poteva ascoltare il sommesso
mormorio delle acque.
Un portone si aprì e
ingoiò il cavaliere e il suo cavallo.
Il mio cuore incominciò
a riprendere il suo ritmo. I miei occhi videro, anche se non nitidamente perché
lontana, una fanciulla che si stringeva al cavaliere e lo baciava per averla
liberata.
Una moneta d’oro per ogni anno trascorso nella torre ruppe l’incantesimo e
liberò la fanciulla. Il cavaliere la portò con sé.
Un dilucolo si diffuse intorno. Io mi svegliai ancora agitata e impaurita…ma poi capii subito che era stato solo un sogno.
Cosa vuoi che accada!
Racconto di Franco Battaglia
Il racconto è avvincente e ben costruito, con un ritmo che cresce gradualmente fino al colpo di scena finale. L’atmosfera iniziale è suggestiva e immersiva: il vento, il mare e la vecchia torre creano uno sfondo perfetto per il mistero. I personaggi sono ben caratterizzati, in particolare Greg, il guardiano burbero ma ironico, che aggiunge un tocco di umorismo e umanità alla storia. L’evoluzione da leggenda a scherzo e poi a scoperta reale è ben gestita e mantiene alta la tensione.
"Il vento sibilava
attraverso le fessure della vecchia torre, portando con sé il profumo salmastro
del mare e un suono insolito, simile a un sussurro. Sul tavolo di pietra al
centro della stanza, una candela illuminava un antico diario dalla copertina di
cuoio. La prima pagina, scritta in una calligrafia incerta, recitava: ...
".
“Sono Greg, il
guardiano del faro, dedico le mie ultime forze a queste righe e chiedo aiuto a
questa luce tremula che presto mi abbandonerà come il respiro. Nelle segrete
della torre è custodito un tesoro immenso, abbiate fede nel seguire tutti
percorsi del labirinto, non disperate e sarete ricompensati, Addio.”
Leggemmo quelle righe
con un sussulto, eravamo giunti fino in cima al faro che dominava il
promontorio quasi per gioco seguendo i sibili disseminati dal vento. Tre amici
che si erano fatti coraggio l’uno con l’altro. Non v’era traccia di nessuna
anima viva però, solo il riverbero della luna e quella candela ormai agli
sgoccioli.
Decidemmo di scendere e
dare un’occhiata agli scantinati, ci intrigava questa storia di fortune
nascoste, anche se ognuno di noi cominciava a coltivare timore palpabile, ci
eravamo inerpicati su per vedere come se la passava il vecchio Greg, quasi una
prova a testare il nostro coraggio di ragazzi incoscienti, ed ora eccoci
titubanti con la chimera del tesoro.. Greg era nel faro da una vita, scorbutico
e poco incline al dialogo, quelle rare volte che scendeva in paese era per le
vettovaglie o qualche necessità impellente, e ora che volevamo presentarci a
sorpresa, sembravamo noi le vittime, mentre scendevamo gli ultimi gradini di
sottosuolo umido.. trovammo la leva del generatore e dopo una scintilla una
flebile luce cosparse il corridoio di luminescenza lattiginosa.. ci guardammo
come a cercare coraggio uno nell’altro.. Pier, sempre stato indiscusso
capobanda, racimolò un briciolo di impudenza e disse: “Andiamo dai.. cosa
volete che accada! Forza..” e prese la testa della nostra sparuta brigata a
seguirlo con scarso entusiasmo.
Rimanemmo folgorati
quando Greg apparve di botto con un “buuu!!!” mefistofelico che ci fece
arrivare il cuore in gola!! .. solo Pier fece un salto indietro e sbertucciò
l’architrave col suo capoccione riccioluto.. “Lo volevate il tesoro eh?!..
ahah.. qua al massimo topi e scarafaggi.. l’ho cercato anch’io per anni in
realtà, ma quale pirata volete che ne lasciasse traccia in un posto così a
portata di mano.. vi ho visto dall’alto oggi.. e ho deciso di farvi uno
scherzetto.. ah ah ragazzi miei.. ogni tanto una sana risata”
“Ma Greg, tu sei
pazzo!..” si lamentò Pier “mi hai fatto perdere cinque anni di vita.. e
soprattutto sangue copioso.. che dolore, voltandosi verso la parete scheggiata
che però ora lasciava intravedere una striscia dorata sotto la malta venuta
via.. il silenzio calò plumbeo.. a Greg si illuminò lo sguardo però..comprese e
inizio a grattare attorno alla chiazza dorata, c’era davvero il tesoro, una
parete d’oro con la calce ben stratificata a custodirne il segreto.
Le voci erano esatte,
davvero il faro custodiva un tesoro; suo malgrado Greg dovette dividere la
fortuna, ma in cuor suo sapeva che nessuno avrebbe mai scoperto quella fortuna
senza.. un azzardato colpo di testa!!!
Seconda vita
Racconto di Marco Santuari
Il racconto
è avvolto da un'atmosfera cupa e claustrofobica, dove il protagonista si trova
intrappolato in una torre, simbolo di prigionia sia fisica che psicologica. La
scoperta del diario e il suo confronto con il passato di Massimo/Folco creano
un'intensa riflessione sulla colpa, la redenzione e il sacrificio. La dualità
dei personaggi, insieme alla violenza finale, esplora temi profondi di
liberazione e destino, lasciando un forte impatto emotivo. Il racconto, pur
mantenendo una narrazione oscura, offre uno spunto di riflessione sulla libertà
e sulle sue conseguenze.
Il vento sibilava
attraverso le fessure della vecchia torre, portando con sé il profumo salmastro
del mare e un suono insolito, simile a un sussurro. Sul tavolo di pietra al
centro della stanza, una candela illuminava un antico diario dalla copertina di
cuoio. La prima pagina, scritta in una calligrafia incerta, recitava: Lascio a
te questo mio scritto, la mia vita, la mia sorte è segnata...la Tua... è da
scrivere”. Il messaggio diventava inquietante in quella stanza priva di porte e
finestre. L’aria che proveniva dalle fessure delle pietre dei muri era come lo
schioccare delle dita dell’illusionista che riporta alla realtà.
Come ero finito lì? Chi
aveva lasciato quel libro? Una voce mi ripeteva "devi scappare...devi
scappare...devi scappare". L'ansia mi assaliva. Il tempo passava ma non
vedevo via d'uscita... che fare...che fare?
Lo sguardo cade
nuovamente sul diario. Lo presi sperando in una soluzione scritta. "...il
mio nome è Massimo e quando avrai letto la fine di questo diario avrai chiaro
il tuo destino. Ho avuto una vita lunga ed avventurosa anche se il ricordo è
lieto per i primi 30 anni di essa e funesto per la parte restante. Ho avuto
un'infanzia agiata provenendo da una nobile famiglia che possedeva terre e
ricchezze. Tutti vedevano in me l'erede della dinastia ed io mi crogiolavo in
questo lusso di cose e di pensieri. Ahi quanto fu duro scontrarmi con la vita
vera. Il mio nobile casato era l'obiettivo di chi calpesta diritti e doveri per
il proprio compiacimento.
Fu così che Quando
presi in mano le redini della famiglia, fui bersaglio di una lotta senza regole
che mi porto ad essere accusato del crimine più orribile che si possa
immaginare... l'assassinio di mio figlio. Fui ritenuto colpevole grazie a false
prove e falsi testimoni, e incarcerato a vita in una vecchia torre. Incatenato
mani e piedi al muro venivo nutrito una sola volta al giorno da un vecchio
guardiano che mi imboccava senza mai liberarmi.
Alzai lo sguardo e vidi
sulla parete in fondo alla stanza proprio quelle che pensai subito fossero
state le catene che per tanto tempo avevano intrappolato Massimo. Continuai a
leggere..Più volte implorai pietà...quante volte imprecai contro la mia passata
opulenta vita, dannato fu il mio nome, maledetto il mio benestante respiro. Il
guardiano non ebbe un briciolo di pietà, nessun tentennamento. Faceva quel che
doveva fare. Forse anche lui in catene non aveva la possibilità o la forza di
liberarsi da quel giogo, da quella vita segnata.
La candela si stava
spegnendo...la cera annegava lo stoppino e a fatica riuscii a mantenere viva
quella fioca luce. Se si fosse spenta quella luce forse anche la mia speranza
di salvezza si sarebbe spenta.
Dove ero rimasto? Ah si…nel tempo che passava, solo quell'unico contatto con un
essere umano potevo avere. Ti chiederai come abbia scritto questo diario se ero
in catene. Ebbene quell'essere umano, quell'unico essere umano con cui ebbi a
che fare vide comunque in me qualcosa di più di una consuetudine di un
esercizio da completare.
“Ancora qui, eh?”
Furono le prime parole che mi rivolse...di scherno nei confronti di una persona
nella mia situazione. Forse si esaltava nel vedermi in quella condizione, ma
subito la sua voce si faceva lievemente più pacata, meno ironica, forse al
pensiero che anche la sua di condizione non era sì sublime.
I giorni passarono e
iniziammo a scambiare qualche parola, poi uno incuriosito di conoscere la
realtà dell’altro, o forse speranzosi entrambi di trovare un significato in
tutto questo, incominciammo a raccontarci le nostre storie. Folco, era il suo
nome, lentamente cambiò atteggiamento nei miei confronti, ciò che poteva essere
un semplice garbo come portarmi un secondo bicchiere d’acqua diventava ai miei
occhi un gesto di indicibile pietà verso l’essere umano che aveva di fronte.
Abbandonò a poco a poco quella corazza di riservatezza di cui si era fatto
scudo, e mi raccontò di come triste fosse il suo destino, rinchiuso nella
stessa torre che era per me prigione e casa, non per povertà o voglia di
solitudine, ma per colpa, la colpa di non essere riuscito a difendere la sua
amata Agata dalle mani di due orribili individui bracconieri che si
presentarono una notte in casa loro e la vollero. Cercò con tutte le forze di
difendere quel poco che era suo, ma prima di svenire, l’ultimo ricordo che ebbe
fu il grido disperato di Agata in lontananza. Si svegliò il giorno dopo si alzo
in piedi, corse fuori ma a quella vista stravolse a terra e scoppiò in un
pianto senza fine…Agata priva di vita penzolava sul pozzo del cortile. Il suo
corpo era pieno di ferite che raccontavano il disperato tentativo di liberarsi,
di sopravvivere. Agata era morta. Folco con lei. Decise che nessun essere umano
avrebbe mai più avuto contatti con lui, e così prese le poche cose che gli
servivano e si rinchiuse in questa torre. Fu solo il signore di queste terre
che poté avvicinarlo e che gli concesse di rimanere in questa condizione a
patto che lui avesse tenuto in vita un eventuale “ospite” al piano di sopra,
oltre la botola.
-Pur avendo compassione
per Massimo proprio non mi riesce di non pensare a trovare una via di uscita,
quella vocina interiore continua a ripetermi "devi scappare". Unica
possibilità di uscire rimane la botola…Provo con tutte le mie forze ma non
riesco a sollevarla…..deve essere chiusa dall’esterno….un lucchetto forse….un
chiavistello. Quindi devo attendere che Folco o chi per lui venga a controllare
la situazione, a salutarmi con un “Ancora qui, eh?”.
Mi assale un sentimento
di impotenza e la rabbia crescente mi fa gettare il diario contro la parete
“PERCHE’ SONO QUIIIIIIIIIIIIIIIIIIII?”. Le mie mani sul volto…le lacrime
scendono copiose. Discosto le mani, le guardo, poi fisso quel diario che ho
gettato lontano. Un luccichio là in fondo rapisce la mia attenzione. La
copertina, la copertina posteriore di cuoio del diario ha un falso fondo…e da
esso spunta qualcosa di metallico, è un punteruolo, un piccolo punteruolo,
sembra quasi un pezzo di una serratura, di un chiavistello.
Tonf….tonf….tonf…..questi rumori? Sembra quasi…..si, qualcuno sta salendo da
piano di sotto…deve essere Folco. Mi sistemo dietro all’apertura della botola,
nell’angolo buio in modo da rimanere nascosto il più possibile e nel
frattempo…mi inventerò qualcosa. “Dove sei? Prigioniero dove sei?” Folco è un
uomo corpulento, rozzo, il puzzo di sudore e di sterco mi fanno pensare ad un
essere rude, grezzo che fa lavori sporchi per gente di malaffare.
Con un balzo gli sono
addosso. Sono un po' debole ma la rabbia per la mia condizione che rifiuto
totalmente mi dà una forza incredibile. Lo prendo per il collo….Folco tenta di
divincolarsi, di afferrarmi roteando le braccia enormi e pelose a destra e a
manca, siamo come Davide e Golia che lottano per la vita.
Con un colpo del gomito
destro mi fa volare sul tavolo in pietra. Dolore lancinante, ma devo resistere.
La candela si è spezzata, siamo completamente al buio ma ormai ho preso di mira
il mio obiettivo, gli sono nuovamente addosso, gli monto sulla schiena e gli
afferro il collo. Folco barcolla, indietreggia, ma è ancora in piedi e
forte…dannato!
IL PUNTERUOLO! Ho il
punteruolo….se solo riesco a prenderlo dalla tasca. – AHHHHHHHHH.
Un fendente alla gola, poi un altro al petto appena alza il braccio per
toccarsi la ferita, e un altro ancora. CHE TU SIA MALEDETTOOOO. Mi fa volare
dall’altra parte della stanza, lui cade in ginocchio….si tiene il collo da cui
zampilla sangue, con l’altra mano si tiene il petto. Lo guardo con occhi
sgomenti – sono stato io a fargli questo? Non ci posso credere, sono diventato
un carnefice, un essere imperdonabile, merito di essere in questa torre e
rimanerci.
"GRAZIE. GRAZIE
prigioniero, mi hai liberato" cof cof cof….sputando sangue, pronuncia
queste parole. Non capisco, non comprendo. “Non ti dolere di quanto hai fatto,
può sembrare una tragedia, ma a volte la libertà si paga a caro prezzo. Un
giorno quando ripenserai a questo momento forse ti vergognerai di te stesso, ma
comprenderai allo stesso tempo che questa violenza ha liberato te, e ha
liberato me”.
“Non ti capisco. Ti ho
ferito a morte, tra breve le forze ti mancheranno, quale libertà hai trovato?”
“Non tutti possiamo comprendere la libertà altrui, non è sempre identica alla
nostra. Ho passato anni tra queste mura cercando di scacciare il dolore per la
mia perdita, ma ho compreso che a volte anziché combattere ci si deve arrendere
per liberarsi”.
“Il diario che ti ha
regalato la libertà è stato scritto da me cercando di raccontare la mia storia
e la storia del mio amico Massimo, anche lui prigioniero della crudeltà altrui
tra queste mura. Massimo non c’è più. Massimo forse non c’è mai stato. “Massimo
è Folco e Folco è Massimo” interrompo io.
“Esatto. Io sono Massimo, un uomo di alto lignaggio, ricercato nei pensieri e
nei comportamenti, un nobile decaduto che ha perso tutto compresa la speranza,
ma troppo vigliacco per porre fine alla propria esistenza, si è trasformato in
un rozzo energumeno privo di civiltà, e attendevo l’arrivo di uno come te, un
uomo con ancora la forza di ribellarsi ad un destino avverso”.
“Il prezzo che paghi può sembrarti alto ora, ma sarai tu a dover convivere con
la tua coscienza, nessun altro. Hai avuto una seconda occasione, non gettarla
al vento”.
“Ora lasciami riposare finalmente le membra, attendo qui che venga a prendermi
la mia guida per portarmi dalla mia amata Agata, finalmente avremo il nostro
piccolo granello di infinito insieme”.
“Ma non posso, non posso andarmene e lasciarti qui, finché c’è vita dobbiamo
viverla al meglio!”
“VAI VIAAA! E NON OSARE VOLTARTI INDIETRO, NON MI FARE PENTIRE DI AVERTI DATO
QUESTA SECONDA POSSIBILITA’”.
Con passo incerto
iniziai a scendere dalla botola. Mi fermai. Ancora uno sguardo verso Massimo.
Mi sembrò di vedere un velo di serenità sul suo volto cupo. Scesi gli scalini,
al piano di sotto la stanza era arredata in modo spartano, un tavolo, due sedie
di legno, una bottiglia con dei bicchieri accanto. Sopra una mensola, un poco
di pane raffermo. La porta era il mio solo pensiero.
Era aperta, corsi fuori, la luce del sole mi accecò per qualche interminabile
secondo. I colori e le forme iniziarono a diventare distinguibili. Tutto
intorno alla torre rocce e terreno arido, un posto dimenticato da madre natura,
senza vita. Non conoscerò mai il resto del contenuto del diario.
Per me ora iniziava la redenzione vera. Quanto ricevuto in dono doveva trovare
un significato profondo, una riconoscenza infinita. La mia vita, la mia seconda
vita, sarebbe stata luminosa e importante. Dovevo renderla importante e unica
per me, per Massimo, per Folco e per Agata.
Fra
sogno e realtà
Racconto di Chicchina
Il racconto
intreccia sogno e realtà in un gioco di riflessi e ricordi, dove la torre
diventa un simbolo di mistero e della confusione tra il mondo onirico e quello
tangibile. La protagonista, tra il sussurro del vento e il tumulto del mare,
vive una condizione di sospensione, in cui i ricordi si mescolano a visioni di
paura e meraviglia. Il passaggio tra passato e presente, tra la Sicilia degli
anni '60 e il sogno di una torre in una dimensione indefinita, esplora il tema
dell’angoscia esistenziale, ma anche della bellezza che si cela nelle memorie.
La citazione da I Malavoglia e il
richiamo a Tempo
di uccidere di Flaiano arricchiscono
il racconto di una dimensione letteraria che suggerisce che ogni esperienza,
anche quella più inquietante, può essere rielaborata attraverso la lettura e la
fantasia.
"Il vento sibilava
attraverso le fessure della vecchia torre, portando con sé il profumo salmastro
del mare e un suono insolito, simile a un sussurro. Sul tavolo di pietra al
centro della stanza, una candela illuminava un antico diario dalla copertina di
cuoio. La prima pagina, scritta in una calligrafia incerta, recitava:
...".
La fiamma della candela
tremolava ad ogni soffio di vento che si insinuava, più forte fra le fessure. Ho
cercato di sollevare la copertina ed iniziai a leggere. La candela si spense
all'improvviso, la copertina ricadde pesantemente sulle pagine, mi sentivo
persa. Il vento ora fischiava forte ed anche il rumore della risacca era più
insistente. Cercai di accendere la luce, ma non c'era più la corrente. Ma allora
ero sveglia? Era un sogno , un incubo? Ho impiegato qualche attimo per
capire, con la torcia del cellulare, confusa, andai alla finestra, buio pesto, ma
si sentiva il mare in tempesta ed il vento sembrava scuotere anche i muri.
Finalmente la corrente
era tornata, ho acceso tutte le luci: ero al sicuro, non c'erano tavoli di
pietra, candele spente, o libri in giro, solo cose familiari. Un libro c'era,
sì!
Prima di dormire avevo
letto alcune poesie, in margine al Dottor Zivago. Ecco, la candela sul tavolo!
“..Tormenta, tormenta su tutta la terra / fino agli ultimi confini. Una candela
bruciava sul tavolo, una candela bruciava ...”(Notte d'inverno).
Forse il sonno scompone
la realtà che viviamo, i pensieri, i ricordi, per costruire i sogni, alterati, diversi,
fantasiosi o mostruosi... Continuavo a pensare al sogno, non riuscivo più a
dormire e quel mare, che non vedevo ma sentivo agitato, arrabbiato mi portò ad
altri ricordi. Sono arrivata, negli anni sessanta ad Aci Trezza, un borgo
marinaro siciliano, in quegli anni molto in auge per via del film di Luchino
Visconti, “La terra trema”. Avevo ovviamente già letto il libro, visto anche il
film ma l'atmosfera del borgo mi riportava ogni volta a nuovi aspetti, nuovi
particolari: tutti gli abitanti si sentivano attori, comparse e comunque
avevano cose da raccontare, ed io ascoltavo, curiosa ed attenta. Il mare gli
scogli la serenità del luogo, tutto invitava ad un vivere lento. Ogni mattina, sistemati
baby ovetto e passeggino sulla mia 500 gialla portavo i bambini al nido. Una
villetta, sul lungomare. Quella mattina di febbraio ero incerta se portarli o
meno. Di notte aveva piovuto ed il mare era ancora burrascoso. Sono partita.
Improvvisamente mi sono
vista di fronte un'onda enorme che sembrava rotolarsi, gonfiarsi minacciosa su
per la stradina, mi sentivo al di sotto del livello del mare. Una sensazione di
angoscia e paura mi ha bloccata al volante. E non stavo sognando. Ho immaginato,
quasi mi era sembrato addirittura di vederla, la Provvidenza di padron Ntoni, dibattersi
fra quelle onde..
Ho preso la prima stradina, forse contromano e sono rientrata, i bambini
impauriti dal mio silenzio.
Finalmente al sicuro fra le mura di casa, potevo guardare da lontano quel mare
minaccioso e mi venne spontaneo rileggere qualche pagina dei Malavoglia. La
descrizione era più realistica della realtà.
I ricordi, si sa, sono
come le ciliegie..
Cercavo nuovi particolari
del sogno. E in “ una notte buia e tempestosa” non poteva mancare una torre: di
una fortezza o di un castello? Pensai alla fortezza del Deserto dei tartari, somigliava
molto a quella intravista in sogno, stesso -non luogo e non tempo, stesso
straniamento dal reale, e la possibilità per la fantasia di disegnare la
topografia dei luoghi la planimetria delle stanze, le voci ed i silenzi degli
uomini che ci vivevano.
La geografia di luoghi
forse veri, ma non collocabili in un preciso punto, regione, paese, la
incontriamo spesso, leggendo, e a me piace riscriverla con la fantasia, più
difficile con il tempo. Ma in questo nuovo ricordo il tempo è
identificabilissimo: Tempo di uccidere-Flaiano. Che pasticcio mi fa combinare
l'insonnia! Ma poi cosa c'era scritto nella pagina del sogno? Cerco una
risposta quasi solo visiva, per il poco che ho potuto leggere:
Ecco:”Ogni prima pagina
che aprirai è una finestra su mondi nuovi e sconos...-Poi la candela si spense.
Il ponte tra le torri
Racconto di Giuseppe Marino
Il vento sibilava attraverso le fessure della vecchia torre, portando con sé il profumo salmastro del mare e un suono insolito, simile a un sussurro. Sul tavolo di pietra al centro della stanza, una candela illuminava un antico diario dalla copertina di cuoio. La prima pagina, scritta in una calligrafia incerta, recitava:
"Non oltrepassare la soglia senza aver compreso. Non cercare se non sei pronto."
Nathan scostò lo sguardo dalla pagina e inspirò profondamente. Aveva percorso il lungo corridoio che univa le due torri della biblioteca, attraversando il passaggio che collegava la Fede alla Scienza. Qui, tra questi muri di pietra, si diceva fosse custodita la verità ultima, il punto d'incontro tra il divino e il razionale.
La torre della Fede, colma di manoscritti antichi, testi sacri e preghiere dimenticate, aveva un odore di incenso e carta ingiallita. La torre della Scienza, invece, brillava di schermi digitali, formule matematiche e calcoli astrali. Nathan si muoveva tra i due mondi, incapace di scegliere, incapace di credere fino in fondo o di negare del tutto.
Il diario era comparso sulla sua scrivania la sera precedente. Nessuno lo aveva mai visto prima. Non c'erano indizi sulla sua origine, solo quella frase enigmatica. Mentre sfogliava le pagine, notò schemi e formule, segni alchemici mescolati a passi di antiche scritture. Ogni parola sembrava costruire un ponte tra le due torri, un sentiero che sfidava la logica e la fede insieme.
Nathan chiuse gli occhi per un momento. Forse la risposta non era in una scelta definitiva tra le due torri, ma nel riconoscere che entrambe raccontavano una parte della stessa storia. La fede offriva le domande, la scienza cercava le risposte. Eppure, senza l’una, l’altra sarebbe rimasta incompleta.
Con un respiro profondo, posò la mano sul diario e scrisse: "La verità è un ponte, non un confine."
Ora non ci resta
che attendere il prossimo appuntamento: il 2 febbraio 2025.
Ho tralasciato il titolo.. hai ragione! ..se ti va potresti inserirlo ora: "Cosa vuoi che accada!"
RispondiEliminaPer il resto direi grazie infinite per lo stimolo, e grazie ai partecipanti e alla loro verve..non vedo l'ora di leggere l'incipit del 2 febbraio sperando che altri, ora, dopo aver letto i nostri racconti, si espongano anche loro in questa simpaticissima "palestra" di scrittura.. grazie ancora Giuseppe!!