La primavera è da sempre stagione di rinascita, di
trasformazione, di luce che torna dopo il lungo inverno. Aprile, con la sua
Pasqua e i suoi riti antichi, ci ricorda che il rinnovamento non è solo nella
natura, ma anche nelle storie che raccontiamo e nei significati che vi
attribuiamo.
Per questo appuntamento del mese di aprile, l’iniziativa Un racconto, tante voci ci offre tre prospettive molto diverse – ma tutte intensamente simboliche – su cosa significhi "rinascere".
Con “Trap”,
entriamo nei ritmi lenti e pacati della campagna, dove la terra lavorata a mano
diventa testimone silenziosa della memoria, del tempo che scorre e della
continuità. Rudolph, con i suoi gesti semplici, ci ricorda la forza della vita
quotidiana e dell’attesa.
In “Chicchina”,
scopriamo un’antica tradizione calabrese che unisce mito e fede, radici pagane
e cristianesimo: le “Pupazze di Bova” sfilano come Persefoni vegetali in una
festa di colori e simboli. Un racconto che sa di appartenenza, di cultura che
resiste, di terra che fiorisce.
Infine, “Franco Battaglia”
ci sorprende con una riflessione audace: e se la resurrezione non fosse mai
avvenuta? Un racconto provocatorio e profondo che ci invita a cercare la fede
non nella certezza, ma nell’ombra, nell’attesa, nella scelta consapevole di
credere senza vedere.
Tre racconti, tre visioni. Un unico filo che li unisce: la primavera come spazio di possibilità, di domande, di bellezza che si rinnova.
Racconto di Trap
Questo racconto regala un'immagine
intima e sincera della vita rurale, scandita dai ritmi lenti della natura e
dalla memoria. La figura di Rudolph è tratteggiata con delicatezza: un uomo
legato alla terra, alla fatica quotidiana, ma anche a una forma di serenità
profonda, fatta di gesti semplici e ripetuti. Il racconto trasmette un senso di
pace e continuità, in cui la primavera e la Pasqua diventano simboli non solo
di rinascita naturale, ma anche di una ciclicità rassicurante della vita. Bello
l’equilibrio tra osservazione del paesaggio e ricordi personali: la narrazione
risulta sobria e autentica, come il protagonista che descrive.
La
primavera si distendeva lenta e serena, con i suoi colori freschi e il cielo
che si faceva sempre più azzurro. La Pasqua si avvicinava, portando con sé una
dolce sensazione di rinnovamento. Nei campi, i fiori sbocciavano timidamente,
mentre il vento, leggero e gentile, sussurrava tra i rami degli alberi. Era il
momento perfetto per lasciarsi alle spalle l'inverno e abbracciare la speranza
che la stagione nuova portava con sé.
Rudolph
conduceva la coppia di ciuchi che trainava un pesante aratro nel suo campo. La
lentezza del loro movimento gli permetteva di osservare questo risveglio, come
ogni anno, sin da quando, ragazzino, aveva dovuto abbandonare la scuola per
aiutare la famiglia. Lui, assieme a suo fratello, andavano ad aiutare il loro
padre. Egli insegnò loro l'arte della potatura delle olive e in pochi anni
diventarono due esperti, le loro prestazioni erano richieste in tutta la loro
zona.
I
ciuchi arrivarono al fondo del campo, e, con un fischio, li fece accostare
vicino all'olivo. Aveva finito di lavorare quel pezzo di terra, preparandola
alla semina, e si sedette all'ombra di una quercia. Con le mani callose
consumate dal lavoro, estrasse dalla tasca un canovaccio che racchiudeva la sua
merenda: un panino al formaggio.
Mentre
addentava la sua meritata merenda, si udiva il baccano che i merli facevano
durante la loro stagione d'amore. Come ogni anno, quei suoni e gesti si
ripetevano nella quiete, lontano dalle frenesie e rumori delle città. Il tempo
sembrava scorrere molto più lentamente, privo di punti di riferimento, se non
il sole che nel pomeriggio iniziava a calare dietro la collina. A casa la
aspettava la moglie, come sempre, che gli avrebbe preparato un bagno caldo e
una sostanziosa cena.
Racconto di Chicchina
Questo racconto è un meraviglioso intreccio tra tradizione, memoria e mito. Con uno stile semplice e coinvolgente, ci accompagna nel cuore della primavera calabrese, restituendoci l’atmosfera viva e autentica del borgo di Bova. La descrizione delle “Pupazze” è ricca di dettagli visivi e sensoriali che incantano, mentre il legame con il mito di Persefone e Demetra aggiunge profondità simbolica alla narrazione, unendo riti pagani e cristiani in un ciclo eterno di morte e rinascita. Un racconto che celebra le radici culturali e l’identità di un territorio con sensibilità e passione. Il racconto sul blog di Chicchina è accompagnato da alcune foto.
"La
primavera si distendeva lenta e serena, con i suoi colori freschi e il cielo
che si faceva sempre più azzurro. La Pasqua si avvicinava, portando con sé una
dolce sensazione di rinnovamento. Nei campi, i fiori sbocciavano timidamente,
mentre il vento, leggero e gentile, sussurrava tra i rami degli alberi. Era il
momento perfetto per lasciarsi alle spalle l'inverno e abbracciare la speranza
che la stagione nuova portava con sé."
Finalmente
si poteva sperare in nuove giornate di sole, e già pensavamo alla Pasqua, alle
scampagnate. E prima ancora c'era la Domenica delle Palme: bisognava
intrecciare le palme da portare in Chiesa, assieme ai ramoscelli di ulivo, per
la tradizionale benedizione. E forse si poteva indossare il primo vestito
leggero, per la nuova stagione.
Avevano
iniziato a lavorare già da qualche mese anche giovani ed anziani del piccolo
borgo di Bova, paesino arroccato a 700 mt.l.m., in prov. di Reggio Calabria: bisognava
preparare le Pupazze di Pasqua per la processione delle Palme. Si trattava di
un rito antico che da qualche anno era stato riportato in auge, assieme alla
ripresa dello studio del grecanico, lingua parlata ancora da molti anziani e
che raccoglieva già tanti proseliti volenterosi fra i giovani. Un rito, quello
delle “pupazze”, ripreso dalla tradizione pagana, e che, come spesso accade, era
stato adattato ed adottato dalla religione cristiana. Mani abili, con sapienza
antica creano delle vere opere d'arte.
Si
preparano delle strutture, dei manichini, con sembianze di donna che poi
vengono totalmente rivestite, con pazienza e maestria, di ramoscelli e foglie
intrecciate di ulivo, completati con nastri, fiori di campo, i primi frutti
della terra: baccelli di fave, piselli, rami di zagara, palme intrecciate a
forma di fiore, cuori, ma anche
dolci della tradizione.
Una
festa di colori che mette allegria.
Vengono
poi portate in processione per il paese, ed è una gara a chi ne ha preparate di
più belle. Segue la tradizionale benedizione, davanti alla Chiesa.
Le
strutture, a benedizione avvenuta, vengono spogliate degli addobbi e degli
intrecci di ulivo e palme che vengono distribuiti a tutti i presenti, portate
nelle case dove troveranno posto per tutto l'anno, per essere poi sostituite
alla prossima cerimonia. Molti portano nastri e ramoscelli nei loro orti e
terreni, li attaccano agli alberi, di buon auspicio per prodotti abbondanti
della terra.
Il
rito, ora cristiano, si rifà al mito greco di Persephone e della madre Demetra.
Ades,
signore dell'oltretomba, invaghitosi della bella Persephone, la rapì, mentre la
fanciulla raccoglieva fiori nel campo Niseo, portandola nel suo regno
sotterraneo.
Dalla
terra, assieme a Persephone, scomparve anche ogni tipo di vegetazione.
La
disperazione della madre Demetra durò giorni e giorni, poi finalmente le sue
suppliche a Zeus ottennero una parziale grazia: Persephone poteva tornare sulla
terra, dalla madre, per metà dell'anno e durante questa sua presenza la terra
rifioriva, crescevano le messi, i fiori e gli alberi davano i loro generosi
frutti.
Poi
ricominciava in ciclo del freddo e del buio, il succedersi delle stagioni, diremmo
oggi, e la preparazione della terra a nuova rinascita.
La
cerimonia delle “pupazze” conosciuta anche come processione delle Persefoni, al
plurale ,si ripete ogni anno, richiamando molti turisti e curiosi nel piccolo e
pacifico borgo, gradevole da visitare anche per il resto dell'anno.
Racconto di Franco
Battaglia
Questo racconto colpisce per il
coraggio con cui affronta uno dei simboli più forti della spiritualità
cristiana, sovvertendolo per riflettere sul senso più profondo della fede.
L'autore gioca con il paradosso teologico in modo provocatorio ma raffinato,
trasformando l'assenza di miracolo in un nuovo atto di fiducia. La rinuncia
alla certezza diventa essa stessa atto di fede, un messaggio potente e attuale.
Lo stile è intenso, quasi profetico, e accompagna il lettore verso una forma di
rinnovamento più interiore che liturgico, più autentico che rituale. Un
racconto che non lascia indifferenti e invita a interrogarsi davvero.
"La
primavera si distendeva lenta e serena, con i suoi colori freschi e il cielo
che si faceva sempre più azzurro. La Pasqua si avvicinava, portando con sé una
dolce sensazione di rinnovamento. Nei campi, i fiori sbocciavano timidamente,
mentre il vento, leggero e gentile, sussurrava tra i rami degli alberi. Era il
momento perfetto per lasciarsi alle spalle l'inverno e abbracciare la speranza
che la stagione nuova portava con sé.
Ma
si era presentato un problema reale: da quest’anno basta Pasqua.
Con
un decreto redatto di pugno dal Papa.
La
resurrezione un errore cruciale, un abbaglio incredibile, una forzatura tutta
umana. Gesù in persona, apparso al Pontefice, aveva messo in chiaro dinamiche e
cronologie.
Lui
non era mai tornato in vita. Nessun protocollo lo prevedeva del resto. Era ora
di smetterla di celebrare falsità solo per accumulare fede posticcia e
accontentare accoliti in cerca di miracoli.
Era
necessaria chiarezza, nodale eliminare gli equivoci, reimpostare la fede su
dati incerti, ecco; perché la fede autentica non deve coltivare certezza, ma
impalpabilità, dubbio, esitazione.
La
Pasqua intesa e disegnata dal racconto degli uomini rasserena, consola,
addormenta, assopisce.. ma la fede autentica è ansia, interrogativo, enigma.
La fede è consegnarsi al buio, un rinnovamento di primavera consueta, con
l’abbraccio alla nuova speranza, ma senza alcuna prova di riuscita, un gettarsi
nel vuoto volendo credere di essere accolti in un abbraccio salvifico.
Ecco
l’unico modo di lasciare l’inverno, comprendere e consegnarsi al futuro.
Nonostante
lo stupore, una malcelata delusione, si avvertiva il cambiamento, c’era davvero
come aria di rinnovamento, quasi una rivoluzione, ma che sapeva di
consolazione, di nuova consapevolezza, di forza soprattutto, forza interiore
cui non servivano feticci e storie. Ecco il significato di quel vento leggero e
gentile.
Era il momento davvero perfetto per l’abbraccio alla speranza.
Racconto
di Giuseppe Marino
La primavera si distendeva lenta e serena, con i suoi colori
freschi e il cielo che si faceva sempre più azzurro. La Pasqua si avvicinava,
portando con sé una dolce sensazione di rinnovamento. Nei campi, i fiori
sbocciavano timidamente, mentre il vento, leggero e gentile, sussurrava tra i
rami degli alberi. Era il momento perfetto per lasciarsi alle spalle l'inverno
e abbracciare la speranza che la stagione nuova portava con sé.
Maria si affacciò alla finestra della casa di campagna che
era stata della nonna. Il vetro era ancora segnato da minuscole imperfezioni,
quelle bolle che fanno pensare a un tempo più lento, fatto di mani sapienti e
silenzi lunghi. Era tornata lì dopo anni, spinta da una nostalgia improvvisa e
da un sogno che continuava a ripetersi: la nonna seduta sotto il grande
ciliegio in fiore, che le faceva cenno di avvicinarsi.
Il ciliegio era ancora lì, contorto e robusto, e proprio
quella mattina aveva mostrato la prima corolla bianca. Maria uscì, seguendo il
profumo del muschio e della terra risvegliata. Il silenzio era vivo, vibrante,
come se la natura respirasse insieme a lei.
Si sedette sotto l’albero, lasciando che i ricordi la
trovassero da soli: le uova decorate a mano, il pane impastato all’alba, le
storie raccontate a bassa voce con l’accento antico. Aprì il piccolo diario che
aveva trovato in soffitta, scritto in una grafia rotonda e gentile. Erano
pensieri della nonna, scritti ogni primavera: parole semplici, ma piene di
gratitudine per la vita, anche nei giorni più duri.
Maria sorrise. Non era solo tornata a casa: aveva ritrovato
un filo. La primavera, capì, non era solo fuori. Fosse anche per un istante,
stava germogliando di nuovo dentro di lei.
Prossimo appuntamento il 2 maggio con un nuovo incipit e tante storie da raccontare!!!
Grazie a te Giuseppe, e a tutti i partecipanti.. ho voluto smuovere le consuetudini, provocatoriamente ma, comunque, in maniera rispettosa lanciando una nuova visione, che forse proprio in questi giorni di Conclave e discussioni continue, si sta rivelando nei suoi lati peggiori. Abbiamo bisogno di nuova spiritualità, di ricercare valori alti, che ci facciano librare verso vette celesti, invece strusciamo spesso a terra, tra bisogni materiali, che non ci elevano di un centimetro dalla nostra mediocrità.
RispondiEliminaGrazie a te, caro Franco, per aver condiviso una riflessione così intensa e necessaria. La spiritualità autentica non divide, non urla, ma richiama al silenzio, all’ascolto e all’elevazione interiore. Il tuo racconto-provocazione è un invito a riscoprire l’essenziale.
EliminaPenso alla bellezza,alla ricchezza della parola,a come si posa ricamare una storia,un romanzo una vita a come possa far gioire o piangere o pensare o cambiare idea e percorso forse anche alle nostre vite.Il racconto dell'amico Franco Battaglia sposta un punto di vista,una storia collaudata e puo aprirecento, mille nuove prospettive o argomenti di discussione,o interrogativi.Ma tutti gli altri racconti,imbastiti con sole semplici parole,comunicano curiosità , serenità , speranze.Le mie sono considerazioni forse inutili o espemporanee,ma coltivo ancora ingenuo stupore .
RispondiEliminaLe tue parole sono tutt’altro che inutili: custodiscono uno sguardo profondo, quasi poetico, sul valore della parola e sulla sua capacità di accendere emozioni, domande, possibilità. Il racconto di Franco Battaglia, con il suo spostare il punto di vista su una narrazione così radicata, ci ha davvero scosso e fatto riflettere, aprendo nuove prospettive e invitandoci a guardare oltre l’abitudine. Ma è bello, come dici tu, che anche i racconti più semplici abbiano saputo comunicare serenità, curiosità, speranza. Ogni racconto, anche il più semplice, può aprire un varco verso qualcosa di più grande — e tu ce lo ricordi con delicatezza e verità.
Elimina