Maggio si è chiuso con il profumo dei fiori e la potenza
evocativa delle parole. Il nostro gioco di scrittura creativa Un racconto,
tante voci ha regalato anche questo mese emozioni forti e suggestioni
profonde.
Tutto è cominciato con una lettera misteriosa, recante una frase enigmatica: “Ciò che hai dimenticato, ti sta aspettando dove tutto è cominciato.”
Da qui, ogni partecipante ha costruito la propria storia: c’è chi ha incontrato
l’amore perduto in un sogno vivido e commovente, chi ha ripercorso i sentieri
dell’infanzia attraverso i luoghi della memoria, chi ha affrontato
simbolicamente il tema del destino, delle promesse e del tempo che fugge.
Racconti che profumano di nostalgia, di speranza, di malinconia
e di coraggio. Racconti che parlano al cuore, perché nascono da cuori sinceri.
Grazie a chi ha scritto, letto, sognato. A giugno, una nuova
frase misteriosa ci guiderà verso nuove avventure narrative.
Continuate a seguirci: un racconto può avere tante voci,
ma ogni voce è unica.
Quando i fiori sembrano sussurrare
segreti
Racconto di Camu
Un racconto delicato e toccante, che intreccia con grazia nostalgia, rimpianto e il coraggio di tornare sui propri passi. La scrittura è evocativa, poetica nei dettagli, e accompagna il lettore con dolcezza verso una riconciliazione tanto attesa. Il passato diventa qui il luogo dove ricominciare, non più una ferita, ma una radice.
Nel
cuore di maggio, quando i fiori sembrano sussurrare segreti al vento, una
lettera senza mittente apparve sulla soglia di casa. Recava solo una
frase: “Ciò che hai dimenticato, ti sta aspettando dove tutto è
cominciato.” In fondo alla pagina, una data, quella del venerdì
successivo, ed un orario, le 17.30. Lucia la trovò quella mattina, rientrando
dopo una notte insonne passata ad ordinare scatole di ricordi che non sapeva
più dove mettere. La calligrafia sulla busta era elegante, quasi antica, eppure
familiare in un modo che le fece stringere lo stomaco. Era passato tanto
tempo. Troppo, forse.
Lucia
aveva lasciato il paese in cui era cresciuta a vent’anni, in fretta e senza
voltarsi, portando con sé solo una valigia e la convinzione che il passato
fosse un peso inutile. Negli anni si era costruita una vita in città, un lavoro
sicuro, amicizie nuove, una casa piccola ma luminosa al terzo piano di un
palazzo di mattoni rossi. Ma certi vuoti erano rimasti lì, in silenzio,
nascosti dietro le giornate piene e le sere rumorose. E quella lettera sembrava
volerli risvegliare, come il richiamo familiare di un lemure nella foresta.
“Dove
tutto è cominciato” Per Lucia, quel luogo aveva un nome preciso: il
vecchio giardino dietro la casa dei nonni, ormai abbandonata. Era lì che, da
ragazzina, passava i pomeriggi d’estate a costruire capanne di rami e a rincorrere
sogni insieme ad Andrea. Già, Andrea, il suo migliore amico, il complice di
mille avventure e di un amore mai dichiarato. Fino a quella sera d’estate,
quindici anni prima, quando una promessa infranta li aveva allontanati. Lei
aveva giurato di non tornare mai più. Eppure ora, qualcosa, o qualcuno, la
stava aspettando.
Attese
con ansia l’arrivo del venerdì. Nel primo pomeriggio, Lucia salì in macchina,
guidando lungo le vecchie strade di campagna che sembravano quasi riconoscerla.
Ogni curva era un ricordo, ogni albero un nome. Quando, circa un paio d’ore
dopo, il sentiero sterrato apparve tra i campi in fiore, il cuore le batteva
come se avesse di nuovo sedici anni. Il giardino era lì, selvatico e incolto,
protetto da un cancello ormai divelto. Ma il vecchio ciliegio resisteva ancora.
Si incamminò lungo il viale. Sul tronco, sbiadite ma leggibili anche a
distanza, le loro iniziali incise dentro un cuore. Ai suoi piedi, una scatolina
di legno rovinata dal tempo. Dentro la scatola, la collana con il ciondolo
d’ambra che Lucia aveva perso proprio quella sera. Ed un biglietto: “Alcune
cose non si perdono. Aspettano solo che tu torni a cercarle.”
Lucia
sorrise, mentre il vento di maggio muoveva piano i rami del ciliegio. Un
fruscio tra le foglie la distolse dai suoi pensieri. Lucia si voltò. Andrea era
lì. Più adulto, gli occhi più stanchi, ma lo stesso sguardo che ricordava.
Camminava piano, come chi non è certo di essere il benvenuto, come chi ha
aspettato troppo e non sa se sia ancora possibile. Rimasero fermi a guardarsi
per qualche istante. Poi lui sorrise, quel sorriso appena accennato che Lucia
aveva amato senza mai confessarlo. “Pensavo non saresti mai tornata.” La voce
era la stessa, solo più bassa, più vera. Lucia serrò la collana tra le dita.
“Anch’io.” Poi fece un passo avanti. E per la prima volta, il passato smise di
far male. E il presente prese a somigliare ad una possibilità.
Ricordi ritrovati
Racconto di Maddalena
Corigliano Bivona
Un racconto delicato e struggente, che tocca le corde del rimpianto e dell’amore familiare. La lettera diventa simbolo di un legame mai spezzato, di un richiamo silenzioso al passato e alle promesse non mantenute. La scrittura, intima e sensibile, restituisce con forza l’urgenza del tempo e il valore dei gesti semplici. Un omaggio commosso e sincero alla memoria e agli affetti.
Nel
cuore di maggio, quando i fiori sembrano sussurrare segreti al vento, una
lettera senza mittente apparve sulla soglia di casa. Recava solo una frase:”
Ciò che hai dimenticato, ti sta aspettando dove tutto è incominciato”.
Mi
fermai stupita sull’uscio. Giravo e rigiravo tra le mani la lettera dal colore
tenue del prato.
Quel
mattino il sole si concedeva al giorno tra nugoli ovattati, l’aria era
attraversata da aliti di vento e i fiori sembravano goderne. Anche se il verde
tenero dei giardini intorno parlava di rinascita e di tempo da vivere
all’aperto sulla strada mancava l’andirivieni delle persone e il transito delle
macchine. Solo in lontananza alcune voci di bimbi, frettolosi nel raggiungere
la scuola, facevano coro col garrito delle rondini.
Intanto
non leggere la provenienza di quella lettera faceva palpitare il mio cuore. Chi
sarà mai, mi dicevo, l’illustre sconosciuto?!
Un groviglio di pensieri mi impediva di capire quella breve frase senza nome.
Un’ansia inspiegabile si impossessò di me. Incominciai a fare varie congetture
per recuperare nella mente qualche momento importante che non aveva avuto
seguito … ma tutto sembrava indefinito.
Ripercorsi
i vari sintagmi della vita, specie quelli determinanti, ma la mia mente
continuava a ricusare ogni ricordo.
Incuriosita e soprattutto intestardita incomincia a lambiccarmi il cervello
sulla scia dei ricordi, anche se per la verità non molti, da legare a quella
lettera misteriosa.
Scoraggiata
mi feci prendere dalle occupazioni del giorno. Ogni tanto, però, il pensiero
correva alla sorpresa inaspettata del mattino.
Lasciai,
poi, la lettera sul comodino della camera da letto. Ci avrei pensato dopo.
Appena
a letto gli occhi si volsero alla lettera dal colore del prato, ombrata dalla
luce soffusa della lampada.
Fremente
rilessi le poche righe, vergate con mano incerta. E all’improvviso pensai alla
zia Jole e a quando, a sua insaputa, ero andata a trovarla. Mi aveva lasciata
bambina e ritrovata donna; ancora adesso sentivo palpitare la sua e la mia
emozione. Erano trascorsi quarant’ anni e non ero più andata a trovarla. Mi ricordai
che glielo avevo anche promesso.
Era
alla soglia dei novantacinque anni e il tempo era ormai tiranno. In lei non si
era spenta, però, la speranza di rivedermi ancora, pensai. Anche la sua lettera
di color verde lo attestava. Mi aspettava per riabbracciarmi per l’ultima
volta. La mia cara zia Jole … sì, era lei!
Due
calde e sentite lacrime bagnarono il mio viso e ricordai tutto.
Ricordai
una promessa che non avevo mai mantenuto. La famiglia, il lavoro, la frenesia
quotidiana non mi avevano più permesso di rivederla. I viaggi li avevo sempre
programmati, ma altrove. Mi sentivo in colpa. Le tenere parole della zia mi
commossero. Dissi a me stessa che era arrivato il momento di andare da lei. Il
tempo, però, con lei fu davvero tiranno! Non la rividi più.
Mi
sono rimaste le sue parole scritte con mano malferma ma con il cuore e
volutamente senza nome.
Qualche
volta avevo annullato la lontananza con delle telefonate. Lei felice mi
ricordava puntualmente la mia visita a sorpresa. Attraverso quelle brevissime
righe, adesso ero sicura, voleva riportarmi a lei, alla mia promessa disattesa
e fattale in quella bella casa dai mobili in mogano e dalle poltrone e dai
divani chiari ove regnava sovrano il pulito assoluto.
La
zia era stata sempre amante dell’ordine ma anche una bravissima ricamatrice.
Pulire e ricamare erano la sua passione. Lei aveva ricamato il corredo di tutte
le sue sorelle, compreso quello di mia madre di cui ancora conservo diverse
cose.
I
cuscini, sparsi un po’ in tutte le stanze e ricamati con gusto e colori tenui,
completavano l’arredamento. Ogni cosa parlava di lei e della sua quotidianità
vissuta sempre con serenità, calma, fiducia, speranza.
Oggi
conservo ancora la sua preziosa lettera e ho negli occhi la sua immagine
giovane. Rimpiango di non aver trovato per lei il tempo e non mi perdono.
Solo 1024 Km ci separavano!
Amore tossico
Racconto di Franco
Battaglia
Un racconto ironico e spiazzante, che gioca abilmente con le aspettative del lettore. L’avvio poetico e malinconico lascia presagire un ritorno sentimentale, ma il finale sorprende con un colpo di scena amaro e grottesco. Ottimo uso del contrasto tra tono lirico e realtà cruda, per una riflessione tagliente sulle illusioni perdute e sulla beffa della vita.
Nel
cuore di maggio, quando i fiori sembrano sussurrare segreti al vento, una
lettera senza mittente apparve sulla soglia di casa. Recava solo una frase:
'Ciò che hai dimenticato, ti sta aspettando dove tutto è cominciato'.
Avevo
dimenticato. È vero. Avevo fortemente voluto dimenticare. Troppo dolore da
smaltire, da accartocciare nell’anima.
Ed
erano passati secoli da quella sbornia di entusiasmo, di illusione. Mi ero
dedicato ad una certosina pulizia, a sopprimere memorie, promesse, lettere;
cassare i telefoni, gli appuntamenti, i segreti, gli scambi, le missive.. e
tutto ciò che mi aveva indissolubilmente legato a lei: l’impeto, il tormento,
la smania, la cupidigia.
Ero
diventato una persona disincantata alla fine, il passato mi aveva devastato e
il futuro, solo qualcosa cui tendere senza speranza.
Un
rapporto tossico dove a concedere ero solo io.
Ma
avevo trovato la forza di trasferirmi da Milano a Lucca, lontano dalla
frenesia, dal caos, dalle amicizie letali, dai quei circuiti avvelenati che mi
avevano guastato desideri e aspirazioni, e credevo di aver rimosso anche lei,
ogni sua traccia, ogni suo riferimento. Ogni immagine.
”Rompere
col passato”, come si suol dire; ma evidentemente non ero stato accorto, e alla
fine era riuscita a ritrovarmi, non le interessava mettermi da parte,
dimenticare, smetterla di farmi soffrire, nonostante mi avesse prosciugato ogni
briciolo di dignità, di amor proprio, calpestato l’orgoglio; nonostante i torti
reiterati, l’insensibilità e l’arroganza di chi non accetta rifiuti, e poi quel
cinismo, senza il minimo cuore.
Ma
dopo anni passati a leccare ferite, a intorpidirla l’anima, ad abbandonare
quell’occasione persa, finalmente una splendida sensazione di vita nuova, di
felicità seppur fragile, effimera, delicata.. e proprio ora che un nuovo
equilibrio sembrava rivelarsi, ora che raccoglievo i primi, acerbi frutti di
una diversa serenità cui dedicarmi appieno, eccola con una lettera senza
mittente, ma l’inequivocabile carta intestata all’interno.
L’Agenzia
delle Entrate mi aveva beccato, e sicuramente, tra interessi, ingiunzioni e
arretrati, stavolta non ci sarebbe stata alcuna rinascita.."
FATO
Racconto di Trap
Un racconto delicato e suggestivo, che intreccia il mistero con il sentimento e tocca corde profonde dell’animo umano. Il dialogo con il "postino del destino" e l’apparizione dell’amore perduto conferiscono al testo un tono sospeso tra sogno e realtà, mentre il messaggio finale — sul coraggio di tornare ad amare e vivere — lascia un’eco malinconica ma luminosa. Una riflessione poetica sul tempo, il dolore e la possibilità di rinascere.
Nel cuore di maggio, quando i fiori sembrano sussurrare segreti al vento, una
lettera senza mittente apparve sulla soglia di casa. Recava solo una frase:
'Ciò che hai dimenticato, ti sta aspettando dove tutto è cominciato'.
Cercai
di trovare sulla busta qualche altro indizio che potesse indicare chi l'avesse
scritta. Guardai poi per la strada e vidi una persona di spalle, che si stava
allontanando.
«Ehi!» Esclamai. «E' stato lei a lasciarmi questa lettera?» La persona si fermò
e si girò verso di me. Era vestita di tutto punto, ma non riuscivo a vedere la
faccia, era così indefinita, come se fossi miope. «Sì, sono stato io.» «E chi è
lei? Questa lettera non ha né mittente né il mio nome, come mai l'ha lasciata a
casa mia? Lei mi conosce?» «Sì. La conosco sin da quando è nato. So tutto di
lei. Però io non sono dell'aldiqua.» Sì fermò un attimo, poi proseguì «Io non
ho un nome. Sono uno dei tanti che lavorano incessantemente per il mio capo,
Fato. Faccio il postino e ho il compito di consegnare lettere molto particolari
a chi è destinato a riceverle. Facciamo di tutto per soddisfare il principio
che nessuno può sfuggire al proprio destino, ma se me lo vuoi chiedere, non
sono io quello che decide il come.» E io: «Quindi, non mi resta che cercare di
incontrare questa persona che magari conosco già» E il postino rispose: «Io
faccio solamente consegne di lettere che non sono scritte da me. Ma ora basta:
ho sprecato fin troppo tempo e devo andare» Detto questo, svanì.
E
io con la misteriosa lettera in mano, rientrai in casa. Mi riposai un poco
sulla poltrona, poi decisi che era ora di portare fuori a passeggio il cane.
Uscimmo dal paesino, quindi arrivammo ad un bosco appena fuori, e giungemmo ad
un grande prato dove c'era grande quercia. Da giovinetto passavo lì i pomeriggi
delle ridenti e sonnolenti estati, prima di trasferirmi in città appena
diventato adulto.
Liberai
il cane e mi misi a sedere alla base della quercia. Stavo riflettendo quando
udii un improvviso fruscio delle foglie e in lontananza scorsi una figura, semi
trasparente che avvicinandosi diventava sempre più nitida. Mi alzai per vedere
meglio. Quando era a pochi metri da me, ebbi un sussulto. Era lei, il mio
vecchio amore di gioventù. Fissai i suoi occhi e lei fissò i miei. Non ci
potevo credere. Era proprio lei. Rimasi a bocca aperta, senza riuscire a dire
una parola. Poi le dissi con voce incredula «Ma sei veramente tu? Roberta?» Lei
sorrise «Sì, sono io» «Ma... sono passati quarant'anni... non sei cambiata per
niente, dove sei stata? Sembra che il tempo non sia passato per te» Lei si
abbassò e staccò un trifoglio che era tra l'erba. «Non può essere vero,»
continuai «niente di tutto questo è reale, sto sognando» Lei si alzò con il
trifoglio in mano lisciando le sue foglie e poi mi guardò «Mi amavi?» e io con
il cuore in gola, «Sì, moltissimo... poi sei morta» Lei lasciò andare il
trifoglio che stranamente, invece di cadere, volteggiò come senza peso e disse
«Mi spiace essermene andata. Però, pur di non provare più quel dolore, non hai
più voluto amare per paura. Chi smette di amare non vive più. Conduce
perennemente un'esistenza in apnea, sempre appena sotto la superficie del mare,
senza avere il coraggio di uscire dall'acqua e nemmeno di immergersi.» E io:
«Ma ormai non sono più giovane, e non sono nemmeno sicuro di essere in grado» E
lei: «Sì che lo sei. Ricordati questo, che il vuoto che è dentro te stesso lo
puoi riempire solo con gli altri, altrimenti il vuoto risucchierà te stesso»
Lei mi strinse delicatamente la mano destra, facendomi riaffiorare violentemente
ricordi che pensavo sepolti. Stetti un attimo e poi dissi «E ora che
succederà?» Lei mi lasciò la mano «Cosa succederà ora? E' ora che tu ricominci
a vivere».
D'improvviso
sentii il vicino ruscello aumentare violentemente la sua portata; e tutto
l'ambiente intorno a me iniziò a svanire, con i contorni che diventavano sempre
più sbiaditi e i colori tendenti sempre più al bianco, poi d'improvviso mi
ritrovai a casa mia, di fronte al tavolo dove avevo lasciato quella lettera e
che ora non era più lì.
Senza titolo
Racconto di Chicchina
Un racconto intenso e struggente, che tocca con delicatezza il tema della memoria, del tempo che passa e dei legami familiari. La lettera misteriosa diventa il pretesto per un viaggio interiore e fisico, un ritorno alle radici carico di emozioni sopite. La narrazione è intima e toccante, e il finale, sospeso tra realtà e sogno, lascia una traccia profonda nel lettore. Un omaggio dolente e amorevole alla figura della madre e al potere della memoria.
"Nel
cuore di maggio, quando i fiori sembrano sussurrare segreti al vento, una
lettera senza mittente apparve sulla soglia di casa. Recava solo una frase:
'Ciò che hai dimenticato, ti sta aspettando dove tutto è cominciato'."
Una
frase sibillina, poteva dire tutto e niente. E poi chi mandava la lettera? Cosa
posso aver dimenticato? E quando?
La
giornata tiepida ed i profumi primaverili mi avevano spinta ad una lunga
passeggiata per sentieri e prati coperti di margherite e le prime ginestre profumavano
i sentieri con il loro giallo solare.
Ora,
rientrando, quella strana lettera, anonima e con un interrogativo al quale non
sapevo rispondere. Ma ero davvero stanca. Una tisana e poi mi preparo per un
sonno ristoratore. Ci avrei pensato al risveglio. Quello che lasciamo in
sospeso, spesso, si ripresenta sotto forma di sogno e i sogni quella notte sono
stati tanti, confusi e indecifrabili, ma con una costante. Mia mamma.
Cercavo
di ricordare qualcosa, al risveglio, da legare alla strana lettera.
Mamma
era nata in un piccolo paese di montagna, era cresciuta con i suoi nonni, ed
aveva sofferto la lontananza dalla famiglia, anche se incontrava spesso i suoi,
in particolare i fratelli.
Si
sposò e ogni volta che tornava in paese sembrava non volesse lasciarlo mai:
parlava, chiedeva, scherzava, cambiava perfino umore: le era davvero mancata la
vita, in paese ed in famiglia.
Poi
una disastrosa alluvione ha costretto i suoi genitori a lasciare anche loro, il
paese. Gli altri figli erano già altrove, per lavoro. Avevano chiuso casa, sperando
di tornare, ma non ci tornarono più. La nonna aveva espresso il desiderio che
qualcuno, quando fosse possibile, tornasse, almeno per prelevare qualche
ricordo, qualche foto. La vita aveva altri progetti per mamma che non poté più
tornare e lasciò a me l'impegno di quella promessa. Lavoro, famiglia,
lontananza dai luoghi e la paura di una delusione mi hanno tenuta lontana. La
lettera anonima, forse era un segno. Mi sono organizzata e fatta accompagnare
per un viaggio della memoria. Sapevo che non avrei trovato molto ma ho tentato.
Un
tuffo nel passato ma anche nel vuoto di testimonianze e memorie: Un paese fatto
ora soltanto di vecchi ruderi, finestre come occhi persi nel vuoto, silenzio
tombale, strade sconnesse e rovi ed arbusti che si erano da tempo riappropriati
del loro spazio. C'era la piazza, c'era la chiesa, conservava ancora una
pregevole Madonna col bambino del Gaggini e un signore, forse l'unico abitante,
ha detto che celebrano ancora dei matrimoni, su richiesta di turisti dei paesi
vicini.
La casa dei nonni, anche quella, un misero rudere, la scala ormai caduta ma
c'era il portoncino, semiaperto. Quanti anni aveva atteso che qualcuno ci
passasse attraverso. Ora non c'erano più neanche i pavimenti, collassati. Con
gli occhi del ricordo posizionavo tutto, i letti, il tavolo, la cucina, il
balconcino con le piante di basilico, e poi, sotto, le giare con l'olio, le
botti col vino, il telaio, il forno, e l'angolo dove al momento giusto
preparavano i cannicci con le foglie di gelso per l'allevamento della seta. Chiudo
gli occhi e risento le voci degli zii, il ritmo cadenzato del telaio, i piccoli
dispetti fra fratelli, mia madre che chiacchierava con sua madre, raccontava di
noi figli.
Non so se era quello il senso dello strano messaggio, non so se davvero la lettera c'era, o era solo una mia fantasia. Ma era un pellegrinaggio della memoria che ho sentito di dover fare, prima che fosse troppo tardi perché la vita spesso non aspetta e non rispetta i nostri tempi. Ed il mio tempo sta per scadere.
Il luogo del ricordo
Racconto di Giuseppe Marino
Nel cuore
di maggio, quando i fiori sembrano sussurrare segreti al vento, una lettera
senza mittente apparve sulla soglia di casa.
Recava solo una frase: “Ciò che hai dimenticato, ti
sta aspettando dove tutto è cominciato.”
Salii sul
vecchio treno per il paese d’infanzia, dove non tornavo da anni. Nessun bagaglio,
solo domande.
Trovai il
muretto accanto alla scuola. Era lì che, da bambina, seppellii un barattolo con
i miei sogni.
Scavai tra l’erba alta,
incredula.
C’era
ancora.
Dentro, un disegno sbiadito:
io, con le braccia aperte verso il cielo.
Sul retro, la scritta incerta
di una bambina: “Non dimenticarti di volare.”
Chiusi gli occhi.
E ricordai chi ero.
Prossimo appuntamento il 2 giugno con un nuovo
incipit e tante storie da raccontare!!!
Grazie Giuseppe, e grazie a tutti i partecipanti.. sta diventando un appuntamento imperdibile questo, e ci permette di sfidarci e creare, e sei te che hai permesso questo flusso creativo e queste piacevoli occasioni di incontro e confronto! Attendiamo il nuovo incipit!!
RispondiEliminaGrazie a te. Puntuale come sempre!
EliminaGrazie a tutti i provetti scrittori 😁
RispondiEliminaGrazie a te. Puntuale come sempre!
EliminaGrazie per il tempo che ci dedica e per gli imput che almeno per me,sono una sfida alla pigrizia.Bello ritrovarci,in tanti,con le niostre storie,che forse raccontano anche un po di noi,chissà.
RispondiEliminaGrazie a te. Puntualissima come sempre!
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