“Il bello è solo il tremendo al suo inizio”
Rainer Maria Rilke (1875-1926)
La frase di Rainer Maria Rilke, “Il bello è solo il tremendo al suo inizio”, offre una prospettiva profonda sul fascino ambivalente della bellezza. Questa riflessione ci invita a guardare al di là della percezione superficiale della bellezza e a scoprire come essa possa essere legata a emozioni potenti e complesse, spesso radicate nella paura o nell’ignoto. Rilke sembra suggerire che la bellezza non è una semplice qualità rassicurante e innocua: è una forza che, proprio perché sublime, può intimorire o disorientare.
In questa affermazione si può vedere l’influenza del
pensiero romantico e simbolista, che vedevano la bellezza come qualcosa di
trascendente, capace di scuotere l’animo umano fino alle fondamenta. Questo
collegamento tra bellezza e tremore richiama il concetto del sublime
nel senso kantiano e burkeano, dove il sublime è qualcosa di maestoso e
grandioso, capace di evocare un senso di paura e ammirazione allo stesso tempo.
Il sublime è qualcosa che attrae e respinge, perché ci avvicina a una
comprensione profonda della vastità della natura, dell’universo o
dell’esperienza umana. Di fronte al sublime, ci sentiamo piccoli, quasi
schiacciati, eppure irrimediabilmente attratti.
Questo senso di bellezza come un “tremendo al suo
inizio” si può applicare non solo alla contemplazione della natura o delle
arti, ma anche all’esperienza umana in generale. Pensiamo, per esempio, alle
relazioni interpersonali: innamorarsi di qualcuno può essere un’esperienza
meravigliosa e terribile allo stesso tempo, poiché ci espone al rischio del
rifiuto, alla vulnerabilità e al dolore. Anche in letteratura, i personaggi più
complessi e affascinanti spesso incarnano questo conflitto interno tra bellezza
e “tremendo”, come il principe Myškin di Dostoevskij o l'eroina tragica di Anna
Karenina di Tolstoj. Entrambi sono personaggi che attirano e che, nella loro
bellezza interiore o idealismo, portano con sé un alone di tragedia.
Rilke sembra suggerire, quindi, che la vera bellezza
non può essere semplicemente piacevole e rassicurante; essa deve avere una
qualità disturbante, un potenziale di sconvolgimento che ci spinge a
riflettere. Solo quando la bellezza ci fa sentire inquieti, quando ci mette
alla prova, essa può davvero condurci a una comprensione più profonda di noi
stessi e del mondo. In questo senso, l’arte e la poesia che ci lasciano
spiazzati e vulnerabili sono spesso le più significative, proprio perché ci
mettono di fronte al “tremendo” che giace sotto la superficie delle cose.
La bellezza vera, secondo Rilke, è dunque una sfida,
una forma di iniziazione che ci invita a guardarci dentro, a confrontarci con
le nostre paure più profonde. La paura del cambiamento, dell’ignoto, della
perdita: questi sono gli elementi tremendi che accompagnano la bellezza in ogni
sua forma. Ecco perché le cose belle sono spesso inafferrabili, sfuggenti: sono
lì per ricordarci l’impermanenza e la fragilità della vita, la necessità di
abbracciare anche il dolore e l’inquietudine come parte dell’esperienza umana.
In questo modo, la frase di Rilke ci offre una prospettiva
diversa sul concetto di bellezza. Non è un valore estetico da ammirare
passivamente, ma un portale verso una dimensione più ampia della nostra
coscienza e della nostra sensibilità. Il bello, dunque, non è semplicemente ciò
che ci fa sentire bene, ma anche ciò che ci spinge a crescere, a riconsiderare
la nostra posizione nel mondo e, in ultima analisi, ad affrontare il “tremendo”
che è in noi stessi. Rilke ci invita a non temere la bellezza che inquieta, ma
a riconoscerla come una forza essenziale e inevitabile della nostra esperienza
umana.
La bellezza spaventa e tramortisce, me ne sono accorto entrando all'Alcazar di Siviglia, e rimanendo abbagliato in maniera incredibile, ho affrontato quel "portale" che citi per entrare in una dimensione speciale e inquietante, quella dello stupore autentico, che ti blocca il respiro e ottunde i sensi.
RispondiEliminaMagico Rilke!
La bellezza ha davvero un potere travolgente, e l'Alcazar di Siviglia è uno di quei luoghi che riescono a evocare uno stupore così intenso da toglierci il fiato. Entrare in contatto con quel tipo di bellezza è come varcare una soglia che ci mette di fronte al sublime, a qualcosa di così grande e profondo che quasi ci sgomenta. Rilke ha saputo cogliere queste sensazioni in modo straordinario, catturando la forza inquietante dello stupore.
EliminaLe tue parole mi trovano d’accordo. E mi viene da pensare che non riusciamo più a produrre cose belle, come succedeva nel passato. E' proprio vero: la grande bellezza – sia quella generata dall’uomo che dalla natura - può cagionare, negli animi molto sensibili, veri e propri malesseri psico-fisici: un dipinto, una statua, una basilica, una montagna, possono provocare turbamenti profondi. Ci sono luoghi in cui la bellezza, paradossalmente, ti schiaccia, può far male e procurare, soprattutto sugli animi dotati di grande sensibilità, un forte impatto psicologico ed emotivo. Ti fa sentire piccolo, inadeguato, ma felice di appartenere al genere umano che ha saputo realizzare tanta bellezza.
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