Giuseppe Marino è un giovane
amico, coetaneo di mio figlio di cui è stato compagno di scuola, ma che io
frequento come fosse un mio coetaneo, un amico di vecchia data. Giuseppe per la
sua maturità, la sua attenzione ai problemi locali e i suoi interessi
culturali, stimolanti, annulla la differenza di età tanto da essere diventato
uno dei miei più cari e assidui amici.
Scrivere di un amico e del suo
lavoro poetico può essere persino imbarazzante o controproducente se si teme la
sincerità, in particolare per me che non sono un critico letterario, ma ho
accettato il suo invito, oltre perché lo stimo e gli sono grato della
considerazione che mi riserva, anche perché so che lui non si aspetta da me una
incensatura di circostanza, sarebbe sciocco per entrambi, né una analisi
specifica della sua poesia. E’ anzi conscio dei rischi per le nostre diversità
di pensiero, per esempio sul “Creatore”,
e quindi so di potermi esprimere liberamente e con obiettività senza timore di
malessere da parte sua.
Leggo così i suoi versi scevro da
timori e condizionamenti e mi sento stimolato dalla sua narrazione poetica. “Il Viandante” è in lui, si cimenta, si
confronta, si addentra nella “sera
incandescente e afosa”, “fra le querce di notte” e provoca ed accetta il “viaggio di due arpe e due voci”, “errante
con me tra dubbi e verità”. Questo per me è bello e significativo ed è ciò
che, pur nella diversità, accosta la nostra amicizia e il nostro “viaggiare” e
lo accosta ad altre amicizie vere e vissute. Questo è anche ciò che rende
Giuseppe protagonista nella nostra realtà territoriale quale ideatore e
organizzatore, da undici anni, dell’ormai celebre Concerto di Primavera. Non “Note ultime”, il suo viaggiare non si
ferma, ma note che si rinnovano ad ogni primavera
leggere sulle onde del
lago
al dolce suono
d’una antica zampogna
e d’ocarina
d’antichi menestrelli.
Viaggio e immaginazione, sentimenti
e ricerca, sogno e fede, note e natura, spazio e tempo sono le vibrazioni che
ispirano i suoi versi, esaltano il suo amore, provocano la sua irrequietezza e
riempiono i suoi ritmi quotidiani in continuo divenire. Si lascia assorbire dai
tramonti:
Magnifico capriccio di un Creatore
Tavolozza di colori caldi per scaldare i gelidi sguardi
Carezza invisibile e
afflati dolci
o ancora
crepuscolo ridente di
diaspro
apre la mirabile danza
di rossi fuochi
d’amaranto i colori
purpuree e pastose
le vibrazioni del
caldo palpitar dell’errabondo
Versi bellissimi per descrivere i
tramonti. Mi chiedo cosa avrebbe potuto aggiungere se avesse potuto ammirare i
tramonti nei grandi spazi africani, là dove l’errabondo e persino il Creatore
assumono dimensioni diverse, là dove il vuoto, l’assenza di voci, il senso di
solitudine, di meraviglia e di spavento, di fronte alla luce che va via fra i
brividi della pelle, possono farti mormorare “deve essere stato in un momento
come questo che l’uomo ha inventato Dio”. Nei versi di Giuseppe, l’errabondo e
il Creatore si cercano e si incontrano nei corsi dei tempi, al di qua del mare,
oltre il mare, nelle dimore dei cuori, nello sguardo, in una lacrima, nelle
bocche baciate, ad Itaca, ovunque, in qualunque momento, “… la luce risplende vergine e pura oltre la coltre di grigi contorni”.
Giuseppe è un cattolico
osservante e questo viaggio in versi, che egli compie con la sua immaginazione,
la sua cultura e la sua esperienza di vita, non poteva prescindere dalla sua
fede, che merita il massimo rispetto per l’autenticità con cui la vive. Per
esempio, non ci siamo mai scontrati nei nostri tanti confronti, perché il suo
non è bigottismo, ma è partecipazione alla vita ed è ricerca dei valori umani
(questo ci accomuna) avendo come riferimento e guida il Dio Creatore. In questa
raccolta di poesie, colgo che questo suo riferimento, peraltro non ossessivo, è
espresso in termini universali, non confessionali e non ho letto mai un
riferimento di appartenenza religiosa. Il suo Creatore, Magnifico, Verità, Sole, Infinito, Eternità, ecc. può
essere quello di qualunque altro credente, di qualunque cultura (“Dio non è
cattolico”, dice Papa Francesco) ed i suoi versi diventano i versi di tutti, la
sua Invocazione può appartenere a
chiunque e in Giuseppe Viandante si
può incontrare il cavaliere delle steppe, il navigante solitario, il
camminatore della savana, lo scalatore delle vette, l’Ulisse di sempre.
In questo suo viaggiare, che non
è un peregrinare sconsiderato, credo che egli abbia vinto in tal modo una
battaglia ed abbia raggiunto un traguardo importante che lo apre al resto del
mondo. Di conseguenza la sua poesia,
rispetto alle produzioni precedenti, si serve di un nuovo linguaggio
espressivo, a mio parere, più libero e ricco di sussulti
Aspetterò il sole
sotto la pioggia
lanciando sassi agli
odiosi cirri
e gridando con
maestria di guerrigliero
squarcerò i segreti
della Vita
Illuminerai, o Sole,
illuminerai
…
Al cuore dirò di
sperare:
umane forze non
desistete
Sussulti colgo, anche nel susseguirsi
di immagini metaforiche e delicate nei versi
di “Abbraccio”, quale inno
all’amore senza mai citare la parola amore
Danzando come foglia
cadente
Tremi e temi, t’agiti
e taci.
Anche i mari s’agitano coll’onde
E tacciono e
ricominciano
E abbracciano isole
scogli e abissi
In un naufragio antico
e perenne
Ogni commento guasterebbe questi
versi ed ogni altra aggiunta, a quanto già scritto, potrebbe apparire prolissa
e noiosa. L’Epilogo, che diventa
anche il mio epilogo di questo intervento, da solo sintetizza quanto credo di
avere colto in questo nuovo e interessante viaggio nel quale mi ha condotto
Giuseppe Marino, in quella immagine
non definita, sull’orizzonte del tramonto, nella quale ogni lettore può
cogliere quella che più gli sta a cuore
E quando apparirai sul
confine rosso dell’orizzonte
beneamata agognata
immagine
non sciogliere i tuoi
contorni
nei colori dei
tramonti.
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