venerdì 18 aprile 2014

Il viandante e il divoratore di falene. Presentazione di Oronzo Corigliano

Giuseppe Marino è un giovane amico, coetaneo di mio figlio di cui è stato compagno di scuola, ma che io frequento come fosse un mio coetaneo, un amico di vecchia data. Giuseppe per la sua maturità, la sua attenzione ai problemi locali e i suoi interessi culturali, stimolanti, annulla la differenza di età tanto da essere diventato uno dei miei più cari e assidui amici.
Scrivere di un amico e del suo lavoro poetico può essere persino imbarazzante o controproducente se si teme la sincerità, in particolare per me che non sono un critico letterario, ma ho accettato il suo invito, oltre perché lo stimo e gli sono grato della considerazione che mi riserva, anche perché so che lui non si aspetta da me una incensatura di circostanza, sarebbe sciocco per entrambi, né una analisi specifica della sua poesia. E’ anzi conscio dei rischi per le nostre diversità di pensiero, per esempio sul “Creatore”, e quindi so di potermi esprimere liberamente e con obiettività senza timore di malessere da parte sua.
Leggo così i suoi versi scevro da timori e condizionamenti e mi sento stimolato dalla sua narrazione poetica. “Il Viandante” è in lui, si cimenta, si confronta, si addentra nella “sera incandescente e afosa”, “fra le querce di notte” e provoca ed accetta il “viaggio di due arpe e due voci”, “errante con me tra dubbi e verità”. Questo per me è bello e significativo ed è ciò che, pur nella diversità, accosta la nostra amicizia e il nostro “viaggiare” e lo accosta ad altre amicizie vere e vissute. Questo è anche ciò che rende Giuseppe protagonista nella nostra realtà territoriale quale ideatore e organizzatore, da undici anni, dell’ormai celebre Concerto di Primavera. Non “Note ultime”, il suo viaggiare non si ferma, ma note che si rinnovano ad ogni primavera

leggere sulle onde del lago
al dolce suono
d’una antica zampogna
e d’ocarina
d’antichi menestrelli.

Viaggio e immaginazione, sentimenti e ricerca, sogno e fede, note e natura, spazio e tempo sono le vibrazioni che ispirano i suoi versi, esaltano il suo amore, provocano la sua irrequietezza e riempiono i suoi ritmi quotidiani in continuo divenire. Si lascia assorbire dai tramonti:

Magnifico capriccio di un Creatore
Tavolozza di colori caldi per scaldare i gelidi sguardi
Carezza invisibile e afflati dolci

 o ancora

crepuscolo ridente di diaspro
apre la mirabile danza di rossi fuochi
d’amaranto i colori purpuree e pastose 
le vibrazioni del caldo palpitar dell’errabondo

Versi bellissimi per descrivere i tramonti. Mi chiedo cosa avrebbe potuto aggiungere se avesse potuto ammirare i tramonti nei grandi spazi africani, là dove l’errabondo e persino il Creatore assumono dimensioni diverse, là dove il vuoto, l’assenza di voci, il senso di solitudine, di meraviglia e di spavento, di fronte alla luce che va via fra i brividi della pelle, possono farti mormorare “deve essere stato in un momento come questo che l’uomo ha inventato Dio”. Nei versi di Giuseppe, l’errabondo e il Creatore si cercano e si incontrano nei corsi dei tempi, al di qua del mare, oltre il mare, nelle dimore dei cuori, nello sguardo, in una lacrima, nelle bocche baciate, ad Itaca, ovunque, in qualunque momento, “… la luce risplende vergine e pura oltre la coltre di grigi contorni”.
Giuseppe è un cattolico osservante e questo viaggio in versi, che egli compie con la sua immaginazione, la sua cultura e la sua esperienza di vita, non poteva prescindere dalla sua fede, che merita il massimo rispetto per l’autenticità con cui la vive. Per esempio, non ci siamo mai scontrati nei nostri tanti confronti, perché il suo non è bigottismo, ma è partecipazione alla vita ed è ricerca dei valori umani (questo ci accomuna) avendo come riferimento e guida il Dio Creatore. In questa raccolta di poesie, colgo che questo suo riferimento, peraltro non ossessivo, è espresso in termini universali, non confessionali e non ho letto mai un riferimento di appartenenza religiosa. Il suo Creatore, Magnifico, Verità, Sole, Infinito, Eternità, ecc. può essere quello di qualunque altro credente, di qualunque cultura (“Dio non è cattolico”, dice Papa Francesco) ed i suoi versi diventano i versi di tutti, la sua Invocazione può appartenere a chiunque e in Giuseppe Viandante si può incontrare il cavaliere delle steppe, il navigante solitario, il camminatore della savana, lo scalatore delle vette, l’Ulisse di sempre.
In questo suo viaggiare, che non è un peregrinare sconsiderato, credo che egli abbia vinto in tal modo una battaglia ed abbia raggiunto un traguardo importante che lo apre al resto del mondo. Di conseguenza la sua  poesia, rispetto alle produzioni precedenti, si serve di un nuovo linguaggio espressivo, a mio parere, più libero e ricco di sussulti

Aspetterò il sole sotto la pioggia
lanciando sassi agli odiosi cirri
e gridando con maestria di guerrigliero
squarcerò i segreti della Vita

Illuminerai, o Sole, illuminerai
Al cuore dirò di sperare:
umane forze non desistete

Sussulti colgo, anche nel susseguirsi di immagini metaforiche e delicate nei versi  di “Abbraccio”, quale inno all’amore senza mai citare la parola amore

Danzando come foglia cadente
Tremi e temi, t’agiti e taci.

 Anche i mari s’agitano coll’onde
E tacciono e ricominciano
E abbracciano isole scogli e abissi
In un naufragio antico e perenne

Ogni commento guasterebbe questi versi ed ogni altra aggiunta, a quanto già scritto, potrebbe apparire prolissa e noiosa. L’Epilogo, che diventa anche il mio epilogo di questo intervento, da solo sintetizza quanto credo di avere colto in questo nuovo e interessante viaggio nel quale mi ha condotto Giuseppe Marino, in quella immagine non definita, sull’orizzonte del tramonto, nella quale ogni lettore può cogliere quella che più gli sta a cuore

E quando apparirai sul confine rosso dell’orizzonte
beneamata agognata immagine
                                                           
non sciogliere i tuoi contorni

nei colori dei tramonti.

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