Ogni autore ha donato la sua voce, il suo sguardo e il suo ricordo, trasformando un semplice grappolo d’uva in metafora dell’esistenza.
Maddalena Corigliano
Bivona ci porta tra i filari della sua infanzia, in un
racconto intenso e intriso di nostalgia, dove la vendemmia diventa rito
collettivo, festa di bambini e fatica di adulti, con il sapore buono delle cose
semplici.
Davide Cervellobacato
intreccia la memoria familiare al presente degli amici, restituendo il senso di
continuità e cambiamento: ciò che finisce si trasforma, e i riti si rinnovano
anche con volti diversi.
Chicchina
ci accompagna attraverso i settembri della sua vita: dalla campagna alla città,
dall’infanzia ai sogni della giovinezza, fino alle nuove consapevolezze. Ogni
settembre è una svolta, una vendemmia personale.
Marco Santuari sceglie
lo sguardo dei bambini: il disegno di un grappolo d’uva e il ricordo della
maestra diventano il simbolo tenero e vivo di un settembre che profuma di
scuola e di scoperta.
Giuseppe Marino
aggiunge un tocco ironico con La vendemmia stonata: tra litigi di famiglia,
ceste che si svuotano e risate che coprono i rimproveri, la vendemmia diventa
sì un rito, ma condito da battibecchi e pane e formaggio.
Quello che emerge, mese
dopo mese, è la ricchezza delle voci che partecipano: ognuna con la sua
sensibilità, ognuna con il suo stile, ma tutte unite dal desiderio di
raccontare.
Settembre ci insegna che
la memoria non è un peso, ma una linfa che scorre: nelle vigne, nei gesti, nei
legami e nelle parole.
E allora, come sempre, vi
invito a leggere, a condividere e, perché no, a lasciarvi ispirare per la
prossima sfida.
Vendemmia
nel tempo
Racconto
di Maddalena Corigliano Bivona
“Settembre arriva con
l’odore dolce dell’uva matura e il fruscio leggero delle foglie che iniziano a
tingersi d’oro. È il mese in cui il tempo sembra rallentare, quasi volesse
concedere all’estate l’ultimo respiro prima dell’autunno. I ricordi riaffiorano
come grappoli pieni, pronti a essere colti: mani segnate dal lavoro, ceste
colme di frutti e voci che si intrecciano nei filari. La vendemmia non è solo
raccolta, ma rito antico che lega passato e presente, memoria e speranza, in un
brindisi silenzioso al cielo eterno della vita”.
Ed eravamo tutti insieme
quella sera con un bicchiere di primitivo in mano. Quel vino univa il nostro
dire, ci portava a fare confidenze intime e a raccontare, a raccontare del
tempo.
Io ritornai indietro
negli anni e mi rividi bambina. Bambina felice tra i filari d’uva traboccanti e
dai pampini ancora verdi.
Riudivo le voci allegre,
le risate e i canti che sapevano di nenia antica… quasi una eco mai spenta che
legava il tempo e la gente delle nostre terre nella fatica.
Io fanciulla spensierata,
insieme a fratellini e cuginetti, correvo con un cestino sul capo a trovare
piccoli grappoli da strappare con le mani: a noi bambini le cesoie non erano
concesse, ma solo di stare con i grandi in compagnia. Io, ricordo, staccavo
chicchi neri e bianchi per saziare la mia bocca sempre pronta al dolce e poi
andavo alla ricerca di formiche tra l’erba a cui lasciare la mia parte di
abbondanza.
Grandi e bambini si
mangiava sotto un albero enorme di fichi ancora colmo e si rideva nell’ascolto
di aneddoti e racconti lontani.
La vendemmia richiedeva
fatica e sudore e solo per noi bambini era una grande festa. L’acqua fresca
degli orci dissetava e il pane sembrava più buono accompagnato da pomodori e
formaggio e un sorso di vino dell’anno precedente. E dopo anche qualche fico rallegrava
le bocche.
Il sole anneriva la pelle
degli uomini e le donne bardate si coprivano persino il capo con fazzoletti
bianchi di bucato. Noi bimbi non lavoravamo, eppure imbrattati di uve avevamo i
vestiti.
Una festa di calabroni,
api e formiche era tra i filari lunghi e infiniti. Piste per le nostre
scorribande e per i nostri giochi. Ogni tanto una voce ragguardevole ci
rabboniva perché intralciavamo il lavoro. Restavamo buoni e fermi per poco e
poi su un pianoro, per non disturbare dei grandi la vendemmia, continuavamo i
giochi.
Ricordi di lieta
spensieratezza riempivano la mia mente, mentre gli altri al chiacchiericcio si
abbandonavano.
Adesso godo di settembre
l’aria mite e il dolce far niente accanto al mare e il cuore sazio di ricordi.
Senza
titolo
Racconto
di Davide CervelloBacato
Settembre arriva con
l’odore dolce dell’uva matura e il fruscio leggero delle foglie che iniziano a
tingersi d’oro. È il mese in cui il tempo sembra rallentare, quasi volesse
concedere all’estate l’ultimo respiro prima dell’autunno. I ricordi riaffiorano
come grappoli pieni, pronti a essere colti: mani segnate dal lavoro, ceste
colme di frutti e voci che si intrecciano nei filari. La vendemmia non è solo
raccolta, ma rito antico che lega passato e presente, memoria e speranza, in un
brindisi silenzioso al ciclo eterno della vita.
La mia, di memoria, mi
riporta a un vigneto pieno pieno di uva scura, americana, coi nonni e gli zii e
i cugini, tutti riuniti a raccoglierla in grosse ceste di plastica. Ci veniamo
ogni anno, chissà da quanto, chissà per quanto. Davvero. Non lo ricordo. Perché
poi è finita. Perché ora invece sono qui, venticinque e anche più anni dopo,
alla casa in campagna del mio amico Fabrizio. Ai parenti si sono sostituiti gli
amici, una nuova famiglia di gente che resta, in parte, e gente che va e viene,
un po' come l'uva, che a volte è proprio ostinata e non si stacca, perciò
resta, vicina ai frutti della propria madre, e altre invece quasi cade da sé,
la tiri giù che è una bellezza, che la vita è bella anche grazie ai
cambiamenti.
È un settembre ancora
caldo, troppo, rispetto a quello di quand'ero bambino, ma nella tavola
domenicale del pranzo sta rinnovando l'antico rito, qui all'ombra del portico,
mentre brindiamo coi frutti raccolti l'anno prima, grati che ci sia ancora,
nonostante tutto, questo incantesimo forse divino, conservato in grappoli, che
ancora, saranno vino.
Tutto
succede a settembre
Racconto
di Chicchina
Settembre arriva con
l’odore dolce dell’uva matura e il fruscio leggero delle foglie che iniziano a
tingersi d’oro. È il mese in cui il tempo sembra rallentare, quasi volesse
concedere all’estate l’ultimo respiro prima dell’autunno. I ricordi riaffiorano
come grappoli pieni, pronti a essere colti: mani segnate dal lavoro, ceste
colme di frutti e voci che si intrecciano nei filari. La vendemmia non è solo
raccolta, ma rito antico che lega passato e presente, memoria e speranza, in un
brindisi silenzioso al ciclo eterno della vita."
Settembre ha sempre
segnato nuove tappe, nuovi cambiamenti spesso importanti per la mia esistenza.
Ovvio che le situazioni
si adattavano, via via, al cambio delle stagioni anche della vita.
Ricordo, di settembre, le
vendemmie dagli zii. Partenza all'alba con muli ed asini e spesso, noi bambini
che avevamo avuto la fortuna di essere accontentati, venivamo sistemati dentro
le ceste, trasportate dagli asini.
Subito dopo iniziava la
scuola. Strada da fare a piedi, per noi era un gioco, cartelle di stoffa frutto
delle abili mani delle nostre mamme.
Il primo anno, 1946, una
pluriclasse. Vicino alla scuola c'era la signora Giovannina che in un angolo
della sua stanza più grande aveva uno scaffaletto con quaderni matite gomme
colori temperamatite caramelle liquirizia quadretti di zucchero, cubetti di
cotognata, un miscuglio da bazar. Io chiedevo i soldini per i quaderni e
qualche matita ma poi compravo le caramelle.
Fu sempre in settembre, prima
che iniziasse la scuola, che ci siamo trasferiti dal borgo dov'eravamo nati e
dove c'erano i nonni e gli zii, in paese, un paese vero con strade, luci, acqua
corrente. Io iniziavo le medie, il più giovane dei fratelli la prima
elementare. Nuove comodità, nuove amicizie nuova vita.
In settembre si sposò mia
sorella, evento importante in famiglia e l'emozione di mio padre che sembrava
non reggere. In quella occasione, per il piccolo paese abbiamo inaugurato un
nuovo stile, per i matrimoni, accantonando usi e costumi ben radicati.
Un altro settembre, conclusi
gli anni del diploma, segnò il trasferimento dal piccolo paese alla grande
città, in cerca di lavoro, mio padre non c'era più e mi sentivo responsabile
per il resto della famiglia.
Mi ha accolto un
settembre bellissimo, mite luminoso pieno di colori, di viali alberati e
giardini ad abbellire ed arricchire il paesaggio urbano. Strade eleganti,
palazzi, movimento, vita attiva e socievole, come succedeva nella Milano dei primi
anni sessanta. Non sono partita con la valigia di cartone, non avevo neanche
quella, ma non mi sarebbe servita. Solo qualche borsa, dove mettere un diploma
e le piccole cose indispensabili al viaggio. Bagaglio leggero, il resto che mi
portavo dietro non aveva un peso fisico: la nostalgia per ciò che lasciavo, il
senso di spaesamento ma anche i tantissimi progetti, le speranze che mi
spingevano a non fermarmi erano cose leggere come i pensieri, come i sogni di
una ventenne...
È da quella nuova realtà
che ho iniziato, finalmente, la mia vendemmia.
Anno dopo anno, trasferimenti
famiglia, cambiamenti di stagioni, anche quelle della vita e di lavoro, curando
l'invecchiamento, come un buon vino da centellinare a piccoli sorsi.
Così sono arrivata
all'attuale settembre dopo un altro giro di boa. Giorni di ospedale, qualche
rappezzo al motore qualche revisione ancora da fare, ma sono qui, appena in
tempo per non mancare a questo appuntamento mensile che sta diventando un
piacevole incontro di persone amiche, di idee e di parole.
U
come UVA
Racconto
di Marco Santuari
"Settembre arriva
con l’odore dolce dell’uva matura e il fruscio leggero delle foglie che
iniziano a tingersi d’oro. È il mese in cui il tempo sembra rallentare, quasi
volesse concedere all’estate l’ultimo respiro prima dell’autunno. I ricordi
riaffiorano come grappoli pieni, pronti a essere colti: mani segnate dal
lavoro, ceste colme di frutti e voci che si intrecciano nei filari. La
vendemmia non è solo raccolta, ma rito antico che lega passato e presente,
memoria e speranza, in un brindisi silenzioso al ciclo eterno della vita."
Eppure se ci penso
affiora alla mia mente il ricordo dell’uva, di un grappolo, il disegno di un
grappolo. U COME UVA… Io e i miei compagni facevamo a gara a chi lo colorava
meglio e più velocemente, ma io ci avrei messo anche un’ora, ma non dovevo
assolutamente uscire dai bordi, gli acini dovevano essere blu scuro e perfetti,
nessuna sbavatura. Ricordo ancora l’emozione dei primi giorni, la prima
campanella. Eravamo immersi in una atmosfera di gioia, stupore e ansia. La
maestra, così imperturbabile nella sua casacca nera coi quadretti azzurri sulle
tasche, gli occhiali spessi, i capelli ricci che mostravano l’età che iniziava
ad avanzare, e quel buffo neo accanto alla bocca. Le volevo un gran bene, mi ha
insegnato a rammendare, a scrivere, a divorare libri da leggere, che gran
donna, che MAESTRA. Si a settembre si vendemmiava, ma quelli erano i grandi,
noi, i fanciulli avevamo un immancabile appuntamento con il primo giorno di
scuola, con la vita che tornava a bussare al nostro quotidiano dopo quel leggiadro
sospendersi nel tempo e nello spazio delle vacanze.
La
vendemmia stonata
Racconto
di Giuseppe Marino
Settembre arriva con
l’odore dolce dell’uva matura e il fruscio leggero delle foglie che iniziano a
tingersi d’oro. È il mese in cui il tempo sembra rallentare, quasi volesse
concedere all’estate l’ultimo respiro prima dell’autunno. I ricordi riaffiorano
come grappoli pieni, pronti a essere colti: mani segnate dal lavoro, ceste
colme di frutti e voci che si intrecciano nei filari. La vendemmia non è solo
raccolta, ma rito antico che lega passato e presente, memoria e speranza, in un
brindisi silenzioso al ciclo eterno della vita.
Almeno, così diceva lo
zio Alfredo, mentre tutti lo guardavano con aria scettica. Perché la verità era
un’altra: la vendemmia, in quella famiglia, era un campo di battaglia.
I cugini litigavano su
chi dovesse portare le ceste più leggere, la zia Rosa faceva finta di avere mal
di schiena per non piegarsi, e il nonno, con aria solenne, si limitava a
sedersi all’ombra e a impartire ordini che nessuno seguiva.
«Attenti a non rovinare i
grappoli!» gridava.
«Ma se li stai mangiando
tu!» ribatteva qualcuno, cogliendolo in flagrante con tre acini in bocca.
Alla fine, più che un
rito antico, la vendemmia sembrava una farsa: grappoli che sparivano
misteriosamente, ceste che si svuotavano a metà strada verso la cantina, e
litri di vino promessi che nessuno era sicuro sarebbero mai nati.
Eppure, ogni anno, quando
il sole calava e tutti si ritrovavano intorno a un tavolo improvvisato tra le
viti, con pane, formaggio e un bicchiere di vino dell’anno prima, le risate
coprivano ogni rimprovero, e persino le liti parevano diventare parte della
tradizione.
Forse lo zio Alfredo non
aveva tutti i torti: la vendemmia, in fondo, era davvero un brindisi silenzioso
al ciclo eterno della vita. Solo che nel loro caso era un brindisi un po’
stonato, condito da briciole e battibecchi.
Prossimo appuntamento il
2 ottobre con un nuovo incipit e tante storie da raccontare!
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