E quando apparirai sul confine rosso dell'orizzonte beneamata agognata immagine non sciogliere i tuoi contorni nei colori dei tramonti.

lunedì 28 luglio 2025

Scrivere è scegliere: ogni parola ha un peso

Scrivere è un atto di libertà, ma anche di responsabilità.

Ogni parola che scegliamo è un gesto consapevole, una presa di posizione, una chiave che apre o chiude, che avvicina o allontana, che svela o confonde. Scrivere non è semplicemente "mettere giù" quello che pensiamo, ma decidere come lo pensiamo, quali sfumature vogliamo evocare, quali immagini far brillare nella mente di chi legge.

Una parola giusta può cambiare il tono di una frase.

Un aggettivo può trasformare una descrizione banale in un’immagine vivida.

Un verbo può spostare il ritmo, la direzione e persino il significato di un intero paragrafo.

L’arte della precisione: quando le parole fanno centro

Pensiamo alla differenza tra:

“Entrò nella stanza con decisione.”

“Irruppe nella stanza.”

“Fece il suo ingresso.”

Tre frasi che descrivono un’azione simile, ma con effetti completamente diversi.

Nel primo caso sentiamo una persona sicura, ma contenuta. Nel secondo, un gesto violento, forse improvviso. Nel terzo, qualcosa di formale, teatrale. Stessa scena, tre atmosfere. Tutto cambia, grazie a una sola parola.

O ancora:

“Era stanco.”

“Era esausto.”

“Era svuotato.”

“Era logoro.”

Tutti sinonimi? Apparentemente sì. Eppure ciascuno porta con sé una diversa tonalità emotiva. “Svuotato” ci suggerisce una perdita interiore, “logoro” qualcosa di consumato nel tempo, “esausto” l’esaurimento fisico, mentre “stanco” è quasi generico. Scegliere la parola giusta significa scegliere il cuore della nostra intenzione.

Il potere evocativo: quando le parole diventano immagini

Un buon narratore lo sa: nominare è evocare.

Scrivere “il profumo dell’estate” può sembrare semplice. Ma se dici “odore di asfalto bollente e gelsomini”, improvvisamente sentiamo la scena, la respiriamo. Lo stesso vale per le emozioni: “Era felice” è un’informazione. “Aveva gli occhi che ridevano prima ancora della bocca” è un’immagine.

Nel racconto, la differenza tra “disse con rabbia” e “sibilò tra i denti serrati” è abissale. Il primo è esplicativo. Il secondo mostra, suggerisce, coinvolge.

Scrivere è anche non dire

Le parole che scegliamo illuminano, ma anche le parole che non usiamo dicono molto.

Ogni omissione, ogni silenzio, ogni scelta di sottrarre o attenuare una parola, è parte del disegno. Pensiamo ai testi poetici, dove la sottrazione diventa potenza, dove una parola sola può reggere il peso di un’intera emozione.

Italo Calvino scriveva:

“La leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso.”

Ed è proprio così: la leggerezza non nasce dalla superficialità, ma da una scelta lessicale chirurgica, esatta. Quasi invisibile. Ma capace di fendere l’aria.

Un esempio pratico: trasformare una frase

Prendiamo una frase semplice:

“La notte era silenziosa.”

E guardiamo come cambia con alcune variazioni:

  • “La notte taceva.”
  • “La notte era muta, sospesa come un respiro trattenuto.”
  • “La notte sembrava ascoltare.”
  • “Un silenzio innaturale soffocava la notte.”

In ognuna di queste versioni, pur dicendo qualcosa di simile, cambiamo registro, atmosfera, intenzione. Da semplice descrizione, passiamo a suggestione, introspezione, inquietudine.

Nominare per esistere

Nominare è dare forma alla realtà. Finché qualcosa non ha un nome, resta inafferrabile, fluttuante.

Ma quando scegliamo il termine giusto – per un'emozione, un paesaggio, un ricordo – quell’elemento smette di essere vago e assume consistenza. Diventa parte della nostra narrazione del mondo.

Lo scrittore, allora, è come un cartografo del linguaggio: disegna mappe fatte di parole, e ogni scelta lessicale è un confine, un sentiero, un abisso. Scegliere quella parola e non un’altra è affermare: questo è ciò che intendo, questo è ciò che sento, questo è ciò che voglio che tu veda.

Conclusione: scrivere è una forma d’amore

Sì, d’amore. Perché scegliere bene le parole significa rispettare il lettore, rispettare la lingua, ma anche prendersi cura della propria voce. Non si tratta solo di “scrivere bene”: si tratta di onorare la profondità di ciò che vogliamo comunicare.

Ogni parola ha un peso.

Ogni frase può essere un ponte o una barriera.

E nel gesto, apparentemente semplice, di cercare il vocabolo più giusto, c’è tutta la nostra umanità: incerta, desiderosa, fragile, ma piena di volontà.

Scrivere è scegliere. Scegliere è vivere.

E allora nominiamo il mondo con attenzione, con rispetto, con cura. Perché le parole che usiamo sono il modo in cui decidiamo di abitare la realtà.

 

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