Scrivere è un atto di libertà, ma anche di responsabilità.
Ogni parola che scegliamo è un gesto consapevole, una presa
di posizione, una chiave che apre o chiude, che avvicina o allontana, che svela
o confonde. Scrivere non è semplicemente "mettere giù" quello che
pensiamo, ma decidere come lo pensiamo, quali sfumature vogliamo
evocare, quali immagini far brillare nella mente di chi legge.
Una parola giusta può cambiare il tono di una frase.
Un aggettivo può trasformare una descrizione banale in
un’immagine vivida.
Un verbo può spostare il ritmo, la direzione e persino il significato di un intero paragrafo.
L’arte della precisione: quando le
parole fanno centro
Pensiamo alla differenza tra:
“Entrò nella stanza con decisione.”
“Irruppe nella stanza.”
“Fece il suo ingresso.”
Tre frasi che descrivono un’azione simile, ma con effetti
completamente diversi.
Nel primo caso sentiamo una persona sicura, ma contenuta.
Nel secondo, un gesto violento, forse improvviso. Nel terzo, qualcosa di
formale, teatrale. Stessa scena, tre atmosfere. Tutto cambia, grazie a una sola
parola.
O ancora:
“Era stanco.”
“Era esausto.”
“Era svuotato.”
“Era logoro.”
Tutti sinonimi? Apparentemente sì. Eppure ciascuno porta con
sé una diversa tonalità emotiva. “Svuotato” ci suggerisce una perdita
interiore, “logoro” qualcosa di consumato nel tempo, “esausto” l’esaurimento
fisico, mentre “stanco” è quasi generico. Scegliere la parola giusta significa
scegliere il cuore della nostra intenzione.
Il potere evocativo: quando le parole
diventano immagini
Un buon narratore lo sa: nominare è evocare.
Scrivere “il profumo dell’estate” può sembrare semplice. Ma
se dici “odore di asfalto bollente e gelsomini”, improvvisamente sentiamo la
scena, la respiriamo. Lo stesso vale per le emozioni: “Era felice” è
un’informazione. “Aveva gli occhi che ridevano prima ancora della bocca” è
un’immagine.
Nel racconto, la differenza tra “disse con rabbia” e “sibilò
tra i denti serrati” è abissale. Il primo è esplicativo. Il secondo mostra,
suggerisce, coinvolge.
Scrivere è anche non dire
Le parole che scegliamo illuminano, ma anche le parole che non
usiamo dicono molto.
Ogni omissione, ogni silenzio, ogni scelta di sottrarre o
attenuare una parola, è parte del disegno. Pensiamo ai testi poetici, dove la
sottrazione diventa potenza, dove una parola sola può reggere il peso di
un’intera emozione.
Italo Calvino scriveva:
“La leggerezza per me si associa con la precisione e la
determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso.”
Ed è proprio così: la leggerezza non nasce dalla
superficialità, ma da una scelta lessicale chirurgica, esatta. Quasi
invisibile. Ma capace di fendere l’aria.
Un esempio pratico: trasformare una
frase
Prendiamo una frase semplice:
“La notte era silenziosa.”
E guardiamo come cambia con alcune variazioni:
- “La
notte taceva.”
- “La
notte era muta, sospesa come un respiro trattenuto.”
- “La
notte sembrava ascoltare.”
- “Un
silenzio innaturale soffocava la notte.”
In ognuna di queste versioni, pur dicendo qualcosa di
simile, cambiamo registro, atmosfera, intenzione. Da semplice descrizione,
passiamo a suggestione, introspezione, inquietudine.
Nominare per esistere
Nominare è dare forma alla realtà. Finché qualcosa non ha un
nome, resta inafferrabile, fluttuante.
Ma quando scegliamo il termine giusto – per un'emozione, un
paesaggio, un ricordo – quell’elemento smette di essere vago e assume
consistenza. Diventa parte della nostra narrazione del mondo.
Lo scrittore, allora, è come un cartografo del linguaggio:
disegna mappe fatte di parole, e ogni scelta lessicale è un confine, un
sentiero, un abisso. Scegliere quella parola e non un’altra è affermare:
questo è ciò che intendo, questo è ciò che sento, questo è ciò che voglio
che tu veda.
Conclusione: scrivere è una forma
d’amore
Sì, d’amore. Perché scegliere bene le parole significa
rispettare il lettore, rispettare la lingua, ma anche prendersi cura della
propria voce. Non si tratta solo di “scrivere bene”: si tratta di onorare la
profondità di ciò che vogliamo comunicare.
Ogni parola ha un peso.
Ogni frase può essere un ponte o una barriera.
E nel gesto, apparentemente semplice, di cercare il vocabolo
più giusto, c’è tutta la nostra umanità: incerta, desiderosa, fragile, ma piena
di volontà.
Scrivere è scegliere. Scegliere è vivere.
E allora nominiamo il mondo con attenzione, con rispetto,
con cura. Perché le parole che usiamo sono il modo in cui decidiamo di abitare
la realtà.
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