Pubblicato per la prima volta nel 1965, Stoner ha vissuto una lunga stagione di oblio prima di essere riscoperto e consacrato come uno dei più grandi romanzi americani del Novecento. Il suo protagonista, William Stoner, figlio di contadini del Missouri, scopre tardi e per caso l’amore per la letteratura e, da quel momento, decide di dedicare la propria vita all’insegnamento universitario. Nonostante le premesse accademiche, Stoner non è un romanzo intellettuale. È, piuttosto, una profonda e toccante esplorazione dell’esistenza umana nella sua forma più pura e spoglia.
La forza della narrazione silenziosa
La scrittura di John Williams è sobria, cristallina, priva
di orpelli. Ogni frase pesa il giusto, ogni parola è scelta con rigore e
tenerezza. C’è un ritmo misurato che accompagna il lettore pagina dopo pagina,
un incedere che riflette il passo stesso della vita del protagonista. Eppure,
proprio questa sobrietà stilistica riesce a evocare un turbine di emozioni:
compassione, malinconia, rabbia, tenerezza, ammirazione. Si entra in sintonia
con William Stoner non perché sia un eroe o un antieroe, ma perché è
semplicemente umano. Profondamente, tragicamente, magnificamente umano.
Il fallimento come forma di
resistenza
Nel corso della sua vita, Stoner conosce l’insuccesso in
molte forme: un matrimonio infelice, una carriera accademica ostacolata da
rivalità e ingiustizie, una distanza sempre crescente dalla figlia, una sola
storia d’amore vissuta come un breve respiro d’aria pura. Ma Williams ci guida
a comprendere che il fallimento, nel mondo di Stoner, non è sinonimo di
sconfitta. È piuttosto una forma di resistenza silenziosa. Una scelta di
coerenza interiore. Stoner non cede mai al cinismo, non si piega alle logiche
del potere, non abbandona ciò che ama davvero, anche quando tutto sembra
opporsi.
Questo è il vero cuore del romanzo: la possibilità che anche
una vita ordinaria, invisibile agli occhi della società, possa contenere una
grandezza autentica. Un’epica sommessa fatta di coerenza, passione e fedeltà a
sé stessi.
La grandezza della vita ordinaria
Stoner è, in un
certo senso, un inno alla vita silenziosa. Il suo amore per la letteratura, la
dedizione alla professione, la capacità di sopportare il dolore senza per questo
smettere di credere nel valore delle piccole cose, sono tutti tratti che
costruiscono un personaggio memorabile, universale.
La grandezza che Stoner ci racconta non ha nulla di
clamoroso. È fatta di gesti minimi, di scelte coerenti, di silenzi che pesano
più delle parole. È quella grandezza che si può trovare nella vita di ognuno di
noi, se solo impariamo a guardarla con occhi nuovi. Ed è proprio questo che fa
del romanzo un’opera straordinaria: riesce a parlare a tutti, perché parla
della vita stessa, della sua semplicità e complessità, del suo dolore e della
sua bellezza discreta.
Un romanzo che urla dentro
Non ci sono colpi di scena, né rivelazioni sensazionali.
Eppure, si chiude il libro con il cuore pesante, gli occhi lucidi, e un senso
di gratitudine per aver incontrato un uomo come Stoner. La sua vita può
sembrare, in superficie, una vita qualunque, persino grigia. Ma dentro quella
vita si agitano passioni profonde, dolori laceranti, sogni taciuti, bellezze
silenziose.
Non è un romanzo facile. Richiede ascolto, pazienza,
empatia. Ma per chi è disposto a percorrere questa strada, il viaggio sarà indimenticabile.
Conclusione
Stoner è un
romanzo che lascia il segno. Non per la sua trama, non per l’azione, ma per la
sua capacità di toccare qualcosa di intimo e profondo nel lettore. È una
meditazione sulla vita, sull’identità, sull’amore e sul tempo. È la prova che
anche l’esistenza più silenziosa può avere un valore immenso. Un libro da
leggere lentamente, da assaporare, da rileggere negli anni. Perché in William
Stoner, in qualche modo, ci siamo anche noi: fragili, ostinati, capaci di amare
e di fallire, e proprio per questo, infinitamente vivi.
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