Il Silenzio del Monastero
Anno Domini 1347. La peste nera dilagava
in tutta Europa, seminando morte e disperazione. Nel cuore delle colline
dell'Umbria, nascosto tra fitte foreste, sorgeva il Monastero di San Pietro in
Silva, un luogo di solitudine e preghiera. Ma quella pace era stata infranta da
qualcosa di oscuro e insondabile.
Frate Matteo, un giovane monaco giunto
da poco al monastero, osservava con crescente inquietudine i confratelli. Il
silenzio, una delle virtù più rispettate all'interno del convento, era stato
violato da strani sussurri. Di notte, Matteo sentiva mormorii provenienti dai
corridoi, come se qualcuno stesso recitando preghiere in una lingua antica e
sconosciuta. E poi c'erano gli sguardi: frate Guglielmo, il bibliotecario, lo
fissava con occhi vuoti ogni volta che incrociava il suo cammino, e persino
l'abate Gregorio sembrava tormentato.
Una mattina, mentre Matteo stava
lavorando nello scriptorium, frate Tommaso, uno degli anziani del monastero, fu
trovato morto nella sua cella. Il suo volto era contorto in un'espressione di
puro terrore, e accanto al suo corpo vi era un piccolo simbolo inciso nella
pietra del pavimento, un simbolo che nessuno riconosceva. Gli altri monaci
sussurravano che fosse un segno demoniaco, ma l'abate proibì ogni discussione a
riguardo, ordinando a tutti di continuare le preghiere come se nulla fosse
accaduto.
Matteo, però, non riusciva a togliersi
dalla mente ciò che aveva visto. La morte di frate Tommaso, quel simbolo
misterioso... Qualcosa di oscuro si nascondeva nel monastero, qualcosa che
nessuno voleva affrontare.
Quella notte, Matteo decise di indagare.
Afferrò una piccola candela e, camminando con cautela, si diresse verso la
cella dove era stato trovato il corpo di Tommaso.
Quando giunse sul luogo, si inginocchiò
accanto alla pietra incisa. Il simbolo era ancora lì, come se il tempo non
avesse potuto cancellarne l'orrore. Passò un dito sui solchi profondi, sentendo
una fredda sensazione salire lungo la schiena. All'improvviso, un rumore lo
fece sobbalzare. Si voltò, ma non vide nessuno. Tuttavia, una presenza sembrava
avvolgerlo, invisibile ma tangibile.
"Chi è là?" sussurrò, con voce
tremante.
Nessuna risposta, solo il fruscio delle
fronde al di fuori della piccola finestra. Tornò a fissare il simbolo, cercando
di comprenderne il significato. Doveva essere una traccia, un indizio su ciò
che stava succedendo nel monastero. Ma in quel momento, sentì di nuovo quei
mormorii. Provenivano dal corridoio, deboli ma chiari, come se qualcuno stesso
recitando una preghiera.
Matteo si alzò, la candela tremolante
nella mano. Decise di seguire quel suono.
Il corridoio sembrava allungarsi
nell'oscurità, e ogni passo lo portava più vicino a una verità che forse non
avrebbe mai dovuto scoprire.
Matteo avanzava nel buio del monastero,
con i sussurri che sembravano guidarlo sempre più in profondità. Il suono lo
conduceva verso una parte dell'edificio che non aveva mai esplorato prima,
un'ala antica e ormai abbandonata da anni. Era conosciuta come la Cripta dei
Martiri, un luogo sacro e temuto in cui, si diceva, riposassero le reliquie di
monaci venerabili che avevano sacrificato la loro vita per la fede.
Il giovane monaco si fermò davanti a una
grande porta di legno, scura e ammuffita, i cui cardini cigolavano sotto la
leggera pressione della sua mano. Al di là, un'oscurità quasi palpabile lo
attendeva. I sussurri si fecero più forti, ora chiaramente distinti: una
preghiera in latino, ma con parole che Matteo non riusciva a comprendere del
tutto. Sembrava una litania, ma priva di quella sacralità a cui era abituato.
Respirando a fondo, entrò nella cripta.
Il suo piccolo lume proiettava ombre distorte sulle pareti di pietra. Il
pavimento era disseminato di polvere e ragnatele, segno che nessuno metteva
piede lì da anni, forse decenni. Tuttavia, i sussurri continuavano a riempire
l'aria, crescenti e insostenibili, come un coro spettrale che lo avvolgeva.
Mentre si avvicinava a una delle nicchie
della cripta, la sua attenzione fu attirata da una luce fioca proveniente da
una piccola apertura sul pavimento, semicoperta da una pesante pietra tombale.
La preghiera sembrava provenire da lì sotto, come se le voci stessero chiamando
dall'interno della cripta.
Matteo si inginocchiò e con sforzo
spinse la pietra. Sotto di essa, trovò una botola, il cui legno era consumato
dal tempo. La aprì con delicatezza e una scala di pietra si rivelò davanti ai
suoi occhi, scendendo in una profondità che sembrava senza fine. I sussurri ora
lo avvolgevano completamente, come una melodia.
Con il cuore che batteva forte, iniziò a
scendere. Passo dopo passo, la temperatura si abbassava e l'aria diveniva più
densa, quasi soffocante. Quando finalmente raggiunse il fondo, si trovò in una
stanza piccola, illuminata da candele consumate. Al centro della stanza, vi era
un antico altare di pietra, e su di esso giaceva un libro dalle pagine
ingiallite, circondato da simboli simili a quello trovato accanto al corpo.
Mentre si avvicinava all'altare,
qualcosa si mosse nell'ombra. Matteo sussultò, ma era troppo tardi. Una figura
incappucciata emerse dall'oscurità, avvolta in un mantello nero. Non era sola:
altre figure apparvero attorno a lui, formando un cerchio perfetto.
«Non saresti dovuto venire qui», disse
una voce profonda e gutturale.
Matteo indietreggiò, ma era circondato.
“Chi siete? Cosa sta succedendo in questo monastero?”
La figura incappucciata avanzò
lentamente, rivelando il volto nascosto sotto il cappuccio. Era frate
Guglielmo, il bibliotecario, ma i suoi occhi, una volta spenti e vacui, ora
brillavano di una luce sinistra e inquietante.
“Abbiamo protetto questo monastero per
secoli, con sacrifici che pochi possono comprendere”, disse Guglielmo. “Non è
la peste che temiamo, ma ciò che si nasconde oltre la morte. Noi siamo i
Fratelli della Morte. E tu, frate Matteo, sei destinato a far parte di questa
eterna confraternita".
Matteo tentò di correre, ma le mani di
uno dei monaci lo afferrarono con forza, impedendogli di fuggire. “Non vi
lascerò continuare con questi orrori! Dio non lo permetterà”.
"Dio?" rise Guglielmo, un
suono freddo e privo di anima. “Dio ci ha dimenticato da tempo. Ora siamo al
servizio di forze più antiche”.
Prima che Matteo potesse ribattere,
Guglielmo si avvicinò all'altare e aprì il libro. “Con la tua morte, il ciclo
si rinnoverà. La peste non toccherà nessuno di noi”.
Le parole di una nuova litania
iniziarono a riecheggiare nella stanza, e Matteo sentì un freddo gelido
avvolgerlo, come se l'oscurità stessa stesse stringendo il suo cuore. In quel
momento capì: non era solo una congrega di eretici, ma monaci che avevano fatto
un patto con le forze oscure per proteggere il monastero dalla peste, al costo
di sacrificare vite umane.
La sua vista cominciò a offuscarsi
mentre sentiva il suo corpo cedere. Ma proprio quando la disperazione lo aveva
sopraffatto, un suono lontano, un canto corale, si sollevò dalle profondità del
monastero. Un canto di speranza, di redenzione. Un ultimo raggio di fede si
accese in lui, e con le ultime forze gridò aiuto.
Il suono rimbombò nella cripta, e per un
istante il tempo sembrò fermarsi. Le candele si spensero, e i Fratelli della
Morte si ritirarono, gridando in agonia, le loro figure distorte dall'oscurità.
L'altare tremò, e il libro si incendiò improvvisamente, riducendosi in polvere.
Matteo crollò a terra, esausto ma vivo.
Il male era stato respinto, almeno per ora. Con difficoltà, si rialzò e salì le
scale, lasciandosi alle spalle quella cripta maledetta. Il monastero sembrava
stranamente silenzioso, ma il peso dell'oscurità non incombeva più sulle sue
spalle come prima.
Quando Matteo raggiunse l'esterno, la
luna splendeva luminosa nel cielo, e l'aria era fresca. La battaglia era vinta,
ma il monastero non sarebbe mai più stato lo stesso.
Matteo si fermò un
attimo nel chiostro, respirando profondamente l'aria fredda della notte. Le
stelle sopra di lui sembravano brillare più intensamente, come se il cielo
volesse dargli conforto dopo l'orrore che aveva appena affrontato. Ma sapeva
che la lotta non era ancora finita.
Il monastero era
silenzioso, ma non di quel silenzio rassicurante che aveva conosciuto nei suoi
primi giorni. Ora sembrava vuoto, come se la vita stessa fosse stata
risucchiata dalle antiche mura. Si chiedeva cosa fosse accaduto agli altri
monaci, se fossero stati parte del culto oscuro o se fossero vittime
inconsapevoli. Il pensiero che i suoi fratelli, gli uomini con cui aveva
pregato, potevano essere complici di tale male lo riempiva di paura.
Sapeva che doveva
parlare con l'abate Gregorio, l'unico che forse avrebbe potuto spiegare la
verità. Se qualcuno poteva ancora aiutarlo, doveva essere lui. Ma Matteo aveva
il sospetto che anche l'abate fosse coinvolto.
Con il cuore
pesante, si diresse verso le stanze private dell'abate. Mentre attraversava il
corridoio che conduceva alla sua cella, notò che le torce lungo il percorso
erano spente. La solita luce soffusa era sostituita da un'oscurità densa e
opprimente.
Matteo avanzava lungo il corridoio buio,
ogni passo rimbombava sulle fredde pietre del pavimento, amplificato dal
silenzio tombale del monastero. Le torce spente sembravano un presagio
sinistro, e l'oscurità che lo avvolgeva rendeva il cammino ancora più
inquietante. Il giovane monaco sentiva il battito del suo cuore accelerare,
mentre la tensione cresceva ad ogni passo che lo avvicinava alla cella
dell'abate Gregorio.
Quando raggiunse la porta, si fermò. Era
leggermente socchiusa, un altro segno che qualcosa di anomalo stava accadendo.
Spingendo lentamente la pesante anta di legno, entrò nella stanza.
L'interno era immerso in un'oscurità
quasi totale, illuminato solo da una piccola candela consumata che tremolava
sul tavolo di lavoro dell'abate. Le ombre danzavano sulle pareti, rendendo
tutto ancora più spettrale. Matteo avanzò cautamente, ma si fermò
improvvisamente quando sentì una presenza alle sue spalle.
Dall'angolo della stanza, una figura si
mosse nell'ombra. Era l'abate Gregorio, seduto su una sedia con lo sguardo
rivolto verso il vuoto. Sembrava più vecchio, consumato dal tempo e dalla
stanchezza. Gli occhi erano cerchiati di nero, profondi come due abissi. Non
sembrava sorpreso.
“Sei venuto” disse Gregorio con voce rauca,
come se avesse parlato a lungo in solitudine.
Matteo si fermò, il cuore accelerato dalla
sorpresa e dalla paura. “Abate Gregorio”, riuscì a dire, il tono carico di
apprensione.
“Pensavi che fossi morto?” Gregorio lo
interruppe con un sorriso stanco e amaro. «Non così in fretta”.
L'abate sospirò, un suono greve, come se
ogni parola fosse un peso insopportabile. "Hai visto troppo, Matteo. Ma
ormai è inevitabile. Il monastero non è più un luogo di preghiera da molto
tempo. La peste, quella dannata peste, ci ha messi in ginocchio. Le nostre
preghiere non bastavano più, e così.. . abbiamo fatto un patto."
"Un patto?" Matteo sentì la
rabbia crescere dentro di sé. "Avete venduto le nostre anime per…”
Gregorio finalmente si voltò, i suoi
occhi lucidi e disperati si posarono su Matteo. "Non era mai mia
intenzione... ma il maschio ha preso radici qui, più in profondità di quanto
potessi immaginare. Ci siamo affidati alle forze sbagliate, pensando di
proteggere il nostro sacro rifugio. Invece, abbiamo liberato qualcosa di
terribile.
Matteo rabbrividì, ricordando le figure
oscure e il culto che aveva scoperto. "Cosa volete dire? Che cosa avete in
mente?”
L'abate si alzò lentamente dalla sedia,
le mani tremanti. "Una forza antica, Matteo. Qualcosa che non appartiene
né al Cielo né alla Terra. Un male che dormiva sotto queste terre da secoli. I
Fratelli della Morte lo venerano, pensano che conceda loro protezione. Ma non
c'è protezione... solo corruzione e morte."
Matteo sentì un brivido lungo la
schiena. "Dobbiamo fermarli. Dobbiamo spezzare questo ciclo."
L'abate scosse la testa, rassegnato.
"Non c'è più niente da fare. Il patto è stato infranto quando hai scoperto
il loro segreto. Ora loro verranno per noi."
Come se le sue parole avessero evocato
una risposta, un suono lontano, simile a un lamento, risuonò nei corridoi del
monastero. Matteo si voltò di scatto verso la porta, il cuore in gola.
L'abate Gregorio si inginocchiò, le mani
giunte in preghiera. "Che Dio abbia pietà delle nostre anime."
Matteo corse verso la porta, ma era
troppo tardi. Le ombre si stavano muovendo rapidamente lungo le pareti, come se
fossero vive. Il corridoio sembrava distorcersi, le torce rimaste spente si
accendevano e si spegnevano, rivelando fugacemente le figure incappucciate dei
Fratelli della Morte.
"Matteo!" gridò l'abate, le
mani ancora tese in preghiera. "Vai via! Fuggi prima che sia troppo
tardi!"
Ma Matteo non riusciva a muoversi. Era
come se una forza invisibile lo tenesse fermo, paralizzato dalla paura. Le
ombre si avvicinarono, circondando l'abate, il quale continuava a pregare
disperatamente. I Fratelli della Morte si avvicinavano, le loro voci
sussurravano litanie antiche, distorte e maligne.
Il giovane monaco cercò di reagire, di
urlare, ma le parole non uscivano. Sentiva che il male stava per consumarlo.
Poi, d'improvviso, un ricordo attraversò la sua mente: le parole di speranza
udite nella cripta, quel canto sacro che sembrava l'unica luce in un mare di
oscurità.
Con tutte le sue forze, Matteo iniziò a
recitare una preghiera. La sua voce, all'inizio debole, iniziò a crescere in
forza. Le ombre sembravano rallentare, come se il potere della fede stessa
opponesse resistenza. I Fratelli della Morte si fermarono, incerti, le loro
figure incappucciate vacillarono.
L'abate Gregorio alzò lo sguardo,
stupito dalla forza di Matteo. "Conti su questa preghiera, Matteo. È l'unica
cosa che può ancora salvarci».
Il giovane monaco intensificò la sua
preghiera, invocando la protezione divina contro le tenebre. Le ombre
cominciarono a ritirarsi, i Fratelli indietreggiavano, il loro potere infranto
dalla luce della fede. Ma non era sufficiente. Matteo sapeva che ci avrebbe
voluto un sacrificio più grande per spezzare definitivamente il male che aveva
infestato il monastero.
L'abate Gregorio, con un ultimo sguardo
di comprensione, si alzò e si avvicinò all'altare nella sua stanza.
"Matteo... la redenzione richiede sacrificio. Che Dio mi perdoni”.
Prima che Matteo potesse fermarlo,
l'abate prese un pugnale nascosto dietro l'altare e lo conficcò nel proprio
petto. Un grido di dolore si mescolò alle preghiere di Matteo, mentre il corpo
dell'abate crollava a terra.
Le ombre, come se fossero state spezzate
dall'atto di sacrificio, cominciarono a dissolversi. I Fratelli della Morte scomparvero
uno ad uno, le loro figure svanendo nell'oscurità che li aveva generati.
Matteo, tremante, si inginocchiò accanto
al corpo dell'abate. L'uomo, con l'ultimo respiro, sussurrò: "Che il
Signore ti protegga... figlio mio..." E con quelle parole, Gregorio spirò.
Il giovane monaco rimase lì, pregando
per l'anima del suo abate e per il monastero, ormai liberato dall'oscura
maledizione che lo aveva afflitto per così tanto tempo.
Matteo rimase
inginocchiato accanto al corpo dell'abate Gregorio, il pugnale ancora
conficcato nel petto del vecchio monaco. Le ombre si erano ormai dissipate, e
il silenzio era tornato a regnare nel monastero. Il giovane monaco si sentiva
svuotato, come se tutte le sue forze lo avevano abbandonato. Aveva assistito a
una lotta tra luce e tenebre, e sebbene il maschio fosse stato sconfitto, il
prezzo pagato era stato terribile.
Con un gesto
tremante, chiuse gli occhi dell'abate, recitando una preghiera per la sua
anima. Gregorio aveva sacrificato tutto per espiare le sue colpe, ma Matteo non
poteva fare a meno di chiedersi se fosse stato sufficiente per redimersi agli
occhi di Dio.
Lentamente, si
alzò e si guardò intorno. Il monastero sembrava immobile, come se l'intera
struttura fosse stata colpita da una sorta di stasi. Il vento soffiava
attraverso le finestre aperte, portando con sé un lieve profumo di incenso che
fluttuava nell'aria. Il giovane monaco sapeva che il monastero era salvo, ma
qualcosa gli diceva che non era ancora finita.
Doveva fare
qualcosa per dare pace definitiva a quel luogo e ai suoi confratelli. Doveva
scoprire se i restanti monaci fossero ancora vivi o se fossero caduti vittime
del culto e delle forze oscure che avevano infettato il monastero.
Matteo si alzò con
fatica, il corpo stremato e la mente annebbiata dai recenti eventi. Sapeva che
la battaglia era finita, ma non riusciva a scacciare la sensazione che qualcosa
fosse ancora irrisolto. Le parole di frate Guglielmo sull'antica reliquia
nascosta nella cripta continuavano a tormentarlo. Non poteva ignorarle. Se
davvero quell'artefatto era la fonte del male che aveva infestato il monastero,
doveva trovarlo e distruggerlo, o il sacrificio dell'abate sarebbe stato vano.
Con passo deciso,
uscì dalla stanza dell'abate e si diresse verso la cripta, attraversando il
cortile del monastero ormai immerso nella quiete notturna. Le stelle brillavano
alte nel cielo, ma non sembravano portare conforto. L'unica luce che lo guidava
era quella di una piccola lanterna che aveva preso dallo scriptorium.
Quando giunse
davanti all'ingresso della cripta, il giovane monaco esitò per un istante. Quel
luogo emanava ancora un'aura di inquietudine, come se il male vi fosse stato
confinato per secoli, pronto a essere risvegliato. Ma Matteo non aveva scelta.
Fece il segno della croce, pregando Dio di dargli la forza necessaria per
compiere il suo dovere, poi spinse con decisione la pesante porta della cripta.
L'interno della
cripta era freddo e umido. Il respiro di Matteo si condensava nell'aria mentre
scendeva le scale in pietra, il suono dei suoi passi rimbombava nelle
profondità. Quando raggiunse il fondo, la lanterna illuminò una stanza scavata
nella roccia. Al centro, un altare di pietra nera dominava la scena, e sopra di
esso vi era una cassa decorata con simboli arcani e intagli complessi che
sembravano pulsare con un'energia oscura. Il legno della cassa era coperto di
una patina di polvere e ragnatele, come se fosse stato lasciato lì per secoli.
Matteo si avvicinò
all'altare, il cuore che batteva all'impazzata nel petto. Il silenzio nella
cripta era opprimente, spezzato solo dal suono dei suoi passi e dal lieve
crepitio della fiamma nella lanterna. La cassa decorata giaceva lì, come una
sentinella muta, avvolta in un'aura di antica malvagità. Ogni fibra del suo essere
gli diceva di andarsene, ma sapeva che non poteva tornare indietro.
Con un respiro
profondo, allungò la mano e sfiorò il coperchio della cassa. Il legno era
freddo, quasi gelido al tatto, come se avesse assorbito la tenebra che vi
dimorava da secoli. Fece leva con entrambe le mani, e lentamente sollevò il
coperchio, che si aprì con un crepitio sinistro, rivelando l'interno della
cassa. Un'ondata di aria stagnante e gelida uscì dall'interno, portando con sé
un odore di umidità e decadenza.
“In
mezzo al tessuto logoro, c’era una piccola statuetta, raffigurante una figura
mostruosa e contorta, un demone oscuro e antico. Il gelo lo attraversò immediatamente. La luce della lanterna tremolò improvvisamente. Era quella la reliquia maledetta. Il male che
aveva corrotto il monastero, che aveva sedotto e distrutto frate Tommaso e l'abate
Gregorio.
Matteo fissò la statuetta annerita, sentendo un gelo profondo invadere il suo corpo.
Sapeva che quell'oggetto non era altro che una ricettacolo di male, la causa di
tutto il dolore che aveva colpito il monastero.
Con mano tremante,
afferrò la piccola statuetta. Il metallo sembrava bruciare la sua pelle, ma Matteo strinse
i denti e non lasciare la presa. Sentiva che doveva fare in fretta, come se
l'oscurità stessa stesse cercando di impedire il suo gesto.
Con un grido
soffocato, si voltò e corse fuori dalla cripta, il demone stretto nel pugno.
L'aria fredda della notte lo colpì in pieno viso, ma non gli diede sollievo. Il
cielo sopra di lui sembrava gravido di una tempesta imminente, e ogni stella
era offuscata da una sottile nebbia scura.
Matteo raggiunse
il cortile, il respiro affannoso, e si diresse verso la grande pietra piatta
che usavano per macinare le erbe. La solida roccia gli sembrava l'unico punto
fisso in un mondo altrimenti corrotto. Senza esitazione, sollevò la piccola statuetta del demone sopra
la testa e la scagliò con tutte le sue forze.
L'impatto fu
devastante. L'oggetto si frantumò in mille pezzi con un suono simile a un tuono,
e un grido agghiacciante, come un eco di dolore e rabbia, si propagò nell'aria.
Per un istante, Matteo fu sopraffatto dalla sensazione che il mondo stesso
fosse sul punto di spezzarsi. Il vento cessò improvvisamente, e poi il
silenzio. Un silenzio così profondo da sembrare irreale.
Matteo rimase in
piedi, il corpo tremante e la mente confusa, mentre i pezzi della statuetta giacevano sparsi sul terreno. Il grido che aveva accompagnato la sua
distruzione sembrava essere dissolto, lasciando dietro di sé un silenzio
irreale. Le ombre che avevano oscurato il monastero sembravano finalmente
ritirarsi, come se l'oscurità stessa stesse svanendo.
Il vento, che
aveva smesso di soffiare, riprese a muoversi dolcemente, portando con sé una
brezza fresca e purificatrice. Matteo guardava il cielo che si schiariva
lentamente, le prime luci del sole filtravano attraverso le nuvole, colorando
il mondo di tonalità dorate. Era come se il giorno stesse promettendo una nuova
speranza, una rinascita.
Con passo lento e
incerto, Matteo si diresse verso il monastero. Ogni passo sembrava più leggero,
come se un peso enorme fosse stato sollevato dalle sue spalle. Giunto al
portone principale, fu accolto dalla vista dei monaci che iniziavano a
radunarsi per la preghiera mattutina. I loro volti, pur segnati dalla fatica e
dalla preoccupazione, riflettevano una tranquillità mai vista prima.
Matteo si avvicinò
a loro, il volto ancora pallido e segnato dalla fatica, ma con uno sguardo di
determinazione e pace. Li osservò mentre si preparavano per la messa, e un
senso di gratitudine lo pervadeva. Il monastero era stato liberato dal male che
lo aveva infestato, e lui aveva contribuito a ripristinare la pace in quel
luogo sacro. La demoniaca statuetta, simbolo di una maledizione antica, era stata
distrutta, e con essa, le ombre che avevano oscurato il monastero per così
tanto tempo erano finalmente svanite.
L'abate Gregorio e
frate Tommaso avevano sacrificato tutto, e ora Matteo sentiva che il loro
sacrificio non era stato vano. Con un ultimo sguardo verso il cielo che si
schiariva, Matteo entrò nel monastero, pronto a vivere una nuova vita in un
luogo finalmente liberato dalla tenebra.
La luce del giorno era arrivata, e con essa, un nuovo inizio per il Monastero di San Pietro in Silva.
Premetto che non amo molto il genere thriller e sinceramente faccio fatica nella lettura di questo genere. Ma devo ammettere che questo brano è davvero scorrevole e coinvolgente. Ho apprezzato molto il coraggio del protagonista Matteo ed infine complimenti alla penna dell' autore che lo ha portato alla luce. Costa86
RispondiEliminaGrazie mille per il tuo commento! Sono davvero felice che tu abbia trovato il racconto scorrevole e coinvolgente, nonostante non sia un genere che apprezzi particolarmente. Il coraggio di Matteo è un aspetto centrale della storia, e sapere che è stato apprezzato è per me motivo di grande soddisfazione. Grazie ancora per i complimenti!
EliminaAnch'io non amo molto i thriller, ma questo è un racconto che si legge volentieri.
EliminaGiuseppe hai definito al meglio il coraggio del protagonista che ha rischiato la sua vita per il bene della comunità.
"Grazie mille per le tue parole! Sono felice che il racconto ti sia piaciuto nonostante il genere thriller non sia tra i tuoi preferiti. Matteo è davvero un personaggio coraggioso, e mi fa piacere che il suo sacrificio per la comunità sia emerso chiaramente. Il suo percorso di lotta tra il bene e il male era uno degli aspetti centrali della storia. Grazie ancora per aver condiviso il tuo pensiero!"
EliminaRacconto molto interessante, anche perché il genere thriller è il mio preferito. Interessante anche il grande lavoro portato avanti da mio cugino Giuseppe. Avere la passione della lettera, della scrittura, e più in generale, delle cultura, è motivo di grande orgoglio! Continua così Giuseppe. Un abbraccio.
RispondiEliminaGrazie mille per il tuo commento! È bello vedere che la passione per la cultura in generale è condivisa in famiglia. Un grande abbraccio a te.
EliminaBellissimo racconto, avvincente e accattivante, l'ho letto con molto interesse. I tuoi scritti, caro Giuseppe, lasciano il segno così come il protagonista Matteo.
RispondiEliminaComplimenti davvero.
Grazie mille per averlo letto con interesse e per averlo commentato. Un saluto!
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