venerdì 20 settembre 2024

Il Silenzio del Monastero


La fede nasconde segreti che nemmeno il silenzio dei chiostri può celare, perché tra le mura del monastero, verità oscure attendono di essere rivelate


Il Silenzio del Monastero


Anno Domini 1347. La peste nera dilagava in tutta Europa, seminando morte e disperazione. Nel cuore delle colline dell'Umbria, nascosto tra fitte foreste, sorgeva il Monastero di San Pietro in Silva, un luogo di solitudine e preghiera. Ma quella pace era stata infranta da qualcosa di oscuro e insondabile.

Frate Matteo, un giovane monaco giunto da poco al monastero, osservava con crescente inquietudine i confratelli. Il silenzio, una delle virtù più rispettate all'interno del convento, era stato violato da strani sussurri. Di notte, Matteo sentiva mormorii provenienti dai corridoi, come se qualcuno stesso recitando preghiere in una lingua antica e sconosciuta. E poi c'erano gli sguardi: frate Guglielmo, il bibliotecario, lo fissava con occhi vuoti ogni volta che incrociava il suo cammino, e persino l'abate Gregorio sembrava tormentato.

Una mattina, mentre Matteo stava lavorando nello scriptorium, frate Tommaso, uno degli anziani del monastero, fu trovato morto nella sua cella. Il suo volto era contorto in un'espressione di puro terrore, e accanto al suo corpo vi era un piccolo simbolo inciso nella pietra del pavimento, un simbolo che nessuno riconosceva. Gli altri monaci sussurravano che fosse un segno demoniaco, ma l'abate proibì ogni discussione a riguardo, ordinando a tutti di continuare le preghiere come se nulla fosse accaduto.

Matteo, però, non riusciva a togliersi dalla mente ciò che aveva visto. La morte di frate Tommaso, quel simbolo misterioso... Qualcosa di oscuro si nascondeva nel monastero, qualcosa che nessuno voleva affrontare.

Quella notte, Matteo decise di indagare. Afferrò una piccola candela e, camminando con cautela, si diresse verso la cella dove era stato trovato il corpo di Tommaso.

Quando giunse sul luogo, si inginocchiò accanto alla pietra incisa. Il simbolo era ancora lì, come se il tempo non avesse potuto cancellarne l'orrore. Passò un dito sui solchi profondi, sentendo una fredda sensazione salire lungo la schiena. All'improvviso, un rumore lo fece sobbalzare. Si voltò, ma non vide nessuno. Tuttavia, una presenza sembrava avvolgerlo, invisibile ma tangibile.

"Chi è là?" sussurrò, con voce tremante.

Nessuna risposta, solo il fruscio delle fronde al di fuori della piccola finestra. Tornò a fissare il simbolo, cercando di comprenderne il significato. Doveva essere una traccia, un indizio su ciò che stava succedendo nel monastero. Ma in quel momento, sentì di nuovo quei mormorii. Provenivano dal corridoio, deboli ma chiari, come se qualcuno stesso recitando una preghiera.

Matteo si alzò, la candela tremolante nella mano. Decise di seguire quel suono.

Il corridoio sembrava allungarsi nell'oscurità, e ogni passo lo portava più vicino a una verità che forse non avrebbe mai dovuto scoprire.

Matteo avanzava nel buio del monastero, con i sussurri che sembravano guidarlo sempre più in profondità. Il suono lo conduceva verso una parte dell'edificio che non aveva mai esplorato prima, un'ala antica e ormai abbandonata da anni. Era conosciuta come la Cripta dei Martiri, un luogo sacro e temuto in cui, si diceva, riposassero le reliquie di monaci venerabili che avevano sacrificato la loro vita per la fede.

Il giovane monaco si fermò davanti a una grande porta di legno, scura e ammuffita, i cui cardini cigolavano sotto la leggera pressione della sua mano. Al di là, un'oscurità quasi palpabile lo attendeva. I sussurri si fecero più forti, ora chiaramente distinti: una preghiera in latino, ma con parole che Matteo non riusciva a comprendere del tutto. Sembrava una litania, ma priva di quella sacralità a cui era abituato.

Respirando a fondo, entrò nella cripta. Il suo piccolo lume proiettava ombre distorte sulle pareti di pietra. Il pavimento era disseminato di polvere e ragnatele, segno che nessuno metteva piede lì da anni, forse decenni. Tuttavia, i sussurri continuavano a riempire l'aria, crescenti e insostenibili, come un coro spettrale che lo avvolgeva.

Mentre si avvicinava a una delle nicchie della cripta, la sua attenzione fu attirata da una luce fioca proveniente da una piccola apertura sul pavimento, semicoperta da una pesante pietra tombale. La preghiera sembrava provenire da lì sotto, come se le voci stessero chiamando dall'interno della cripta.

Matteo si inginocchiò e con sforzo spinse la pietra. Sotto di essa, trovò una botola, il cui legno era consumato dal tempo. La aprì con delicatezza e una scala di pietra si rivelò davanti ai suoi occhi, scendendo in una profondità che sembrava senza fine. I sussurri ora lo avvolgevano completamente, come una melodia.

Con il cuore che batteva forte, iniziò a scendere. Passo dopo passo, la temperatura si abbassava e l'aria diveniva più densa, quasi soffocante. Quando finalmente raggiunse il fondo, si trovò in una stanza piccola, illuminata da candele consumate. Al centro della stanza, vi era un antico altare di pietra, e su di esso giaceva un libro dalle pagine ingiallite, circondato da simboli simili a quello trovato accanto al corpo.

Mentre si avvicinava all'altare, qualcosa si mosse nell'ombra. Matteo sussultò, ma era troppo tardi. Una figura incappucciata emerse dall'oscurità, avvolta in un mantello nero. Non era sola: altre figure apparvero attorno a lui, formando un cerchio perfetto.

«Non saresti dovuto venire qui», disse una voce profonda e gutturale.

Matteo indietreggiò, ma era circondato. “Chi siete? Cosa sta succedendo in questo monastero?”

La figura incappucciata avanzò lentamente, rivelando il volto nascosto sotto il cappuccio. Era frate Guglielmo, il bibliotecario, ma i suoi occhi, una volta spenti e vacui, ora brillavano di una luce sinistra e inquietante.

“Abbiamo protetto questo monastero per secoli, con sacrifici che pochi possono comprendere”, disse Guglielmo. “Non è la peste che temiamo, ma ciò che si nasconde oltre la morte. Noi siamo i Fratelli della Morte. E tu, frate Matteo, sei destinato a far parte di questa eterna confraternita".

Matteo tentò di correre, ma le mani di uno dei monaci lo afferrarono con forza, impedendogli di fuggire. “Non vi lascerò continuare con questi orrori! Dio non lo permetterà”.

"Dio?" rise Guglielmo, un suono freddo e privo di anima. “Dio ci ha dimenticato da tempo. Ora siamo al servizio di forze più antiche”.

Prima che Matteo potesse ribattere, Guglielmo si avvicinò all'altare e aprì il libro. “Con la tua morte, il ciclo si rinnoverà. La peste non toccherà nessuno di noi”.

Le parole di una nuova litania iniziarono a riecheggiare nella stanza, e Matteo sentì un freddo gelido avvolgerlo, come se l'oscurità stessa stesse stringendo il suo cuore. In quel momento capì: non era solo una congrega di eretici, ma monaci che avevano fatto un patto con le forze oscure per proteggere il monastero dalla peste, al costo di sacrificare vite umane.

La sua vista cominciò a offuscarsi mentre sentiva il suo corpo cedere. Ma proprio quando la disperazione lo aveva sopraffatto, un suono lontano, un canto corale, si sollevò dalle profondità del monastero. Un canto di speranza, di redenzione. Un ultimo raggio di fede si accese in lui, e con le ultime forze gridò aiuto.

Il suono rimbombò nella cripta, e per un istante il tempo sembrò fermarsi. Le candele si spensero, e i Fratelli della Morte si ritirarono, gridando in agonia, le loro figure distorte dall'oscurità. L'altare tremò, e il libro si incendiò improvvisamente, riducendosi in polvere.

Matteo crollò a terra, esausto ma vivo. Il male era stato respinto, almeno per ora. Con difficoltà, si rialzò e salì le scale, lasciandosi alle spalle quella cripta maledetta. Il monastero sembrava stranamente silenzioso, ma il peso dell'oscurità non incombeva più sulle sue spalle come prima.

Quando Matteo raggiunse l'esterno, la luna splendeva luminosa nel cielo, e l'aria era fresca. La battaglia era vinta, ma il monastero non sarebbe mai più stato lo stesso.

Matteo si fermò un attimo nel chiostro, respirando profondamente l'aria fredda della notte. Le stelle sopra di lui sembravano brillare più intensamente, come se il cielo volesse dargli conforto dopo l'orrore che aveva appena affrontato. Ma sapeva che la lotta non era ancora finita.

Il monastero era silenzioso, ma non di quel silenzio rassicurante che aveva conosciuto nei suoi primi giorni. Ora sembrava vuoto, come se la vita stessa fosse stata risucchiata dalle antiche mura. Si chiedeva cosa fosse accaduto agli altri monaci, se fossero stati parte del culto oscuro o se fossero vittime inconsapevoli. Il pensiero che i suoi fratelli, gli uomini con cui aveva pregato, potevano essere complici di tale male lo riempiva di paura.

Sapeva che doveva parlare con l'abate Gregorio, l'unico che forse avrebbe potuto spiegare la verità. Se qualcuno poteva ancora aiutarlo, doveva essere lui. Ma Matteo aveva il sospetto che anche l'abate fosse coinvolto.

Con il cuore pesante, si diresse verso le stanze private dell'abate. Mentre attraversava il corridoio che conduceva alla sua cella, notò che le torce lungo il percorso erano spente. La solita luce soffusa era sostituita da un'oscurità densa e opprimente.

Matteo avanzava lungo il corridoio buio, ogni passo rimbombava sulle fredde pietre del pavimento, amplificato dal silenzio tombale del monastero. Le torce spente sembravano un presagio sinistro, e l'oscurità che lo avvolgeva rendeva il cammino ancora più inquietante. Il giovane monaco sentiva il battito del suo cuore accelerare, mentre la tensione cresceva ad ogni passo che lo avvicinava alla cella dell'abate Gregorio.

Quando raggiunse la porta, si fermò. Era leggermente socchiusa, un altro segno che qualcosa di anomalo stava accadendo. Spingendo lentamente la pesante anta di legno, entrò nella stanza.

L'interno era immerso in un'oscurità quasi totale, illuminato solo da una piccola candela consumata che tremolava sul tavolo di lavoro dell'abate. Le ombre danzavano sulle pareti, rendendo tutto ancora più spettrale. Matteo avanzò cautamente, ma si fermò improvvisamente quando sentì una presenza alle sue spalle.

Dall'angolo della stanza, una figura si mosse nell'ombra. Era l'abate Gregorio, seduto su una sedia con lo sguardo rivolto verso il vuoto. Sembrava più vecchio, consumato dal tempo e dalla stanchezza. Gli occhi erano cerchiati di nero, profondi come due abissi. Non sembrava sorpreso.

“Sei venuto” disse Gregorio con voce rauca, come se avesse parlato a lungo in solitudine.

Matteo si fermò, il cuore accelerato dalla sorpresa e dalla paura. “Abate Gregorio”, riuscì a dire, il tono carico di apprensione.

“Pensavi che fossi morto?” Gregorio lo interruppe con un sorriso stanco e amaro. «Non così in fretta”.

L'abate sospirò, un suono greve, come se ogni parola fosse un peso insopportabile. "Hai visto troppo, Matteo. Ma ormai è inevitabile. Il monastero non è più un luogo di preghiera da molto tempo. La peste, quella dannata peste, ci ha messi in ginocchio. Le nostre preghiere non bastavano più, e così.. . abbiamo fatto un patto."

"Un patto?" Matteo sentì la rabbia crescere dentro di sé. "Avete venduto le nostre anime per…”

Gregorio finalmente si voltò, i suoi occhi lucidi e disperati si posarono su Matteo. "Non era mai mia intenzione... ma il maschio ha preso radici qui, più in profondità di quanto potessi immaginare. Ci siamo affidati alle forze sbagliate, pensando di proteggere il nostro sacro rifugio. Invece, abbiamo liberato qualcosa di terribile.

Matteo rabbrividì, ricordando le figure oscure e il culto che aveva scoperto. "Cosa volete dire? Che cosa avete in mente?”

L'abate si alzò lentamente dalla sedia, le mani tremanti. "Una forza antica, Matteo. Qualcosa che non appartiene né al Cielo né alla Terra. Un male che dormiva sotto queste terre da secoli. I Fratelli della Morte lo venerano, pensano che conceda loro protezione. Ma non c'è protezione... solo corruzione e morte."

Matteo sentì un brivido lungo la schiena. "Dobbiamo fermarli. Dobbiamo spezzare questo ciclo."

L'abate scosse la testa, rassegnato. "Non c'è più niente da fare. Il patto è stato infranto quando hai scoperto il loro segreto. Ora loro verranno per noi."

Come se le sue parole avessero evocato una risposta, un suono lontano, simile a un lamento, risuonò nei corridoi del monastero. Matteo si voltò di scatto verso la porta, il cuore in gola.

L'abate Gregorio si inginocchiò, le mani giunte in preghiera. "Che Dio abbia pietà delle nostre anime."

Matteo corse verso la porta, ma era troppo tardi. Le ombre si stavano muovendo rapidamente lungo le pareti, come se fossero vive. Il corridoio sembrava distorcersi, le torce rimaste spente si accendevano e si spegnevano, rivelando fugacemente le figure incappucciate dei Fratelli della Morte.

"Matteo!" gridò l'abate, le mani ancora tese in preghiera. "Vai via! Fuggi prima che sia troppo tardi!"

Ma Matteo non riusciva a muoversi. Era come se una forza invisibile lo tenesse fermo, paralizzato dalla paura. Le ombre si avvicinarono, circondando l'abate, il quale continuava a pregare disperatamente. I Fratelli della Morte si avvicinavano, le loro voci sussurravano litanie antiche, distorte e maligne.

Il giovane monaco cercò di reagire, di urlare, ma le parole non uscivano. Sentiva che il male stava per consumarlo. Poi, d'improvviso, un ricordo attraversò la sua mente: le parole di speranza udite nella cripta, quel canto sacro che sembrava l'unica luce in un mare di oscurità.

Con tutte le sue forze, Matteo iniziò a recitare una preghiera. La sua voce, all'inizio debole, iniziò a crescere in forza. Le ombre sembravano rallentare, come se il potere della fede stessa opponesse resistenza. I Fratelli della Morte si fermarono, incerti, le loro figure incappucciate vacillarono.

L'abate Gregorio alzò lo sguardo, stupito dalla forza di Matteo. "Conti su questa preghiera, Matteo. È l'unica cosa che può ancora salvarci».

Il giovane monaco intensificò la sua preghiera, invocando la protezione divina contro le tenebre. Le ombre cominciarono a ritirarsi, i Fratelli indietreggiavano, il loro potere infranto dalla luce della fede. Ma non era sufficiente. Matteo sapeva che ci avrebbe voluto un sacrificio più grande per spezzare definitivamente il male che aveva infestato il monastero.

L'abate Gregorio, con un ultimo sguardo di comprensione, si alzò e si avvicinò all'altare nella sua stanza. "Matteo... la redenzione richiede sacrificio. Che Dio mi perdoni”.

Prima che Matteo potesse fermarlo, l'abate prese un pugnale nascosto dietro l'altare e lo conficcò nel proprio petto. Un grido di dolore si mescolò alle preghiere di Matteo, mentre il corpo dell'abate crollava a terra.

Le ombre, come se fossero state spezzate dall'atto di sacrificio, cominciarono a dissolversi. I Fratelli della Morte scomparvero uno ad uno, le loro figure svanendo nell'oscurità che li aveva generati.

Matteo, tremante, si inginocchiò accanto al corpo dell'abate. L'uomo, con l'ultimo respiro, sussurrò: "Che il Signore ti protegga... figlio mio..." E con quelle parole, Gregorio spirò.

Il giovane monaco rimase lì, pregando per l'anima del suo abate e per il monastero, ormai liberato dall'oscura maledizione che lo aveva afflitto per così tanto tempo.

Matteo rimase inginocchiato accanto al corpo dell'abate Gregorio, il pugnale ancora conficcato nel petto del vecchio monaco. Le ombre si erano ormai dissipate, e il silenzio era tornato a regnare nel monastero. Il giovane monaco si sentiva svuotato, come se tutte le sue forze lo avevano abbandonato. Aveva assistito a una lotta tra luce e tenebre, e sebbene il maschio fosse stato sconfitto, il prezzo pagato era stato terribile.

Con un gesto tremante, chiuse gli occhi dell'abate, recitando una preghiera per la sua anima. Gregorio aveva sacrificato tutto per espiare le sue colpe, ma Matteo non poteva fare a meno di chiedersi se fosse stato sufficiente per redimersi agli occhi di Dio.

Lentamente, si alzò e si guardò intorno. Il monastero sembrava immobile, come se l'intera struttura fosse stata colpita da una sorta di stasi. Il vento soffiava attraverso le finestre aperte, portando con sé un lieve profumo di incenso che fluttuava nell'aria. Il giovane monaco sapeva che il monastero era salvo, ma qualcosa gli diceva che non era ancora finita.

Doveva fare qualcosa per dare pace definitiva a quel luogo e ai suoi confratelli. Doveva scoprire se i restanti monaci fossero ancora vivi o se fossero caduti vittime del culto e delle forze oscure che avevano infettato il monastero.

Matteo si alzò con fatica, il corpo stremato e la mente annebbiata dai recenti eventi. Sapeva che la battaglia era finita, ma non riusciva a scacciare la sensazione che qualcosa fosse ancora irrisolto. Le parole di frate Guglielmo sull'antica reliquia nascosta nella cripta continuavano a tormentarlo. Non poteva ignorarle. Se davvero quell'artefatto era la fonte del male che aveva infestato il monastero, doveva trovarlo e distruggerlo, o il sacrificio dell'abate sarebbe stato vano.

Con passo deciso, uscì dalla stanza dell'abate e si diresse verso la cripta, attraversando il cortile del monastero ormai immerso nella quiete notturna. Le stelle brillavano alte nel cielo, ma non sembravano portare conforto. L'unica luce che lo guidava era quella di una piccola lanterna che aveva preso dallo scriptorium.

Quando giunse davanti all'ingresso della cripta, il giovane monaco esitò per un istante. Quel luogo emanava ancora un'aura di inquietudine, come se il male vi fosse stato confinato per secoli, pronto a essere risvegliato. Ma Matteo non aveva scelta. Fece il segno della croce, pregando Dio di dargli la forza necessaria per compiere il suo dovere, poi spinse con decisione la pesante porta della cripta.

L'interno della cripta era freddo e umido. Il respiro di Matteo si condensava nell'aria mentre scendeva le scale in pietra, il suono dei suoi passi rimbombava nelle profondità. Quando raggiunse il fondo, la lanterna illuminò una stanza scavata nella roccia. Al centro, un altare di pietra nera dominava la scena, e sopra di esso vi era una cassa decorata con simboli arcani e intagli complessi che sembravano pulsare con un'energia oscura. Il legno della cassa era coperto di una patina di polvere e ragnatele, come se fosse stato lasciato lì per secoli.

Matteo si avvicinò all'altare, il cuore che batteva all'impazzata nel petto. Il silenzio nella cripta era opprimente, spezzato solo dal suono dei suoi passi e dal lieve crepitio della fiamma nella lanterna. La cassa decorata giaceva lì, come una sentinella muta, avvolta in un'aura di antica malvagità. Ogni fibra del suo essere gli diceva di andarsene, ma sapeva che non poteva tornare indietro.

Con un respiro profondo, allungò la mano e sfiorò il coperchio della cassa. Il legno era freddo, quasi gelido al tatto, come se avesse assorbito la tenebra che vi dimorava da secoli. Fece leva con entrambe le mani, e lentamente sollevò il coperchio, che si aprì con un crepitio sinistro, rivelando l'interno della cassa. Un'ondata di aria stagnante e gelida uscì dall'interno, portando con sé un odore di umidità e decadenza.

“In mezzo al tessuto logoro, c’era una piccola statuetta, raffigurante una figura mostruosa e contorta, un demone oscuro e antico. Il gelo lo attraversò immediatamente. La luce della lanterna tremolò improvvisamente. Era quella la reliquia maledetta. Il male che aveva corrotto il monastero, che aveva sedotto e distrutto frate Tommaso e l'abate Gregorio.

Matteo fissò la statuetta annerita, sentendo un gelo profondo invadere il suo corpo. Sapeva che quell'oggetto non era altro che una ricettacolo di male, la causa di tutto il dolore che aveva colpito il monastero.

Con mano tremante, afferrò la piccola statuetta. Il metallo sembrava bruciare la sua pelle, ma Matteo strinse i denti e non lasciare la presa. Sentiva che doveva fare in fretta, come se l'oscurità stessa stesse cercando di impedire il suo gesto.

Con un grido soffocato, si voltò e corse fuori dalla cripta, il demone stretto nel pugno. L'aria fredda della notte lo colpì in pieno viso, ma non gli diede sollievo. Il cielo sopra di lui sembrava gravido di una tempesta imminente, e ogni stella era offuscata da una sottile nebbia scura.

Matteo raggiunse il cortile, il respiro affannoso, e si diresse verso la grande pietra piatta che usavano per macinare le erbe. La solida roccia gli sembrava l'unico punto fisso in un mondo altrimenti corrotto. Senza esitazione, sollevò la piccola statuetta del demone sopra la testa e la scagliò con tutte le sue forze.

L'impatto fu devastante. L'oggetto si frantumò in mille pezzi con un suono simile a un tuono, e un grido agghiacciante, come un eco di dolore e rabbia, si propagò nell'aria. Per un istante, Matteo fu sopraffatto dalla sensazione che il mondo stesso fosse sul punto di spezzarsi. Il vento cessò improvvisamente, e poi il silenzio. Un silenzio così profondo da sembrare irreale.

Matteo rimase in piedi, il corpo tremante e la mente confusa, mentre i pezzi della statuetta giacevano sparsi sul terreno. Il grido che aveva accompagnato la sua distruzione sembrava essere dissolto, lasciando dietro di sé un silenzio irreale. Le ombre che avevano oscurato il monastero sembravano finalmente ritirarsi, come se l'oscurità stessa stesse svanendo.

Il vento, che aveva smesso di soffiare, riprese a muoversi dolcemente, portando con sé una brezza fresca e purificatrice. Matteo guardava il cielo che si schiariva lentamente, le prime luci del sole filtravano attraverso le nuvole, colorando il mondo di tonalità dorate. Era come se il giorno stesse promettendo una nuova speranza, una rinascita.

Con passo lento e incerto, Matteo si diresse verso il monastero. Ogni passo sembrava più leggero, come se un peso enorme fosse stato sollevato dalle sue spalle. Giunto al portone principale, fu accolto dalla vista dei monaci che iniziavano a radunarsi per la preghiera mattutina. I loro volti, pur segnati dalla fatica e dalla preoccupazione, riflettevano una tranquillità mai vista prima.

Matteo si avvicinò a loro, il volto ancora pallido e segnato dalla fatica, ma con uno sguardo di determinazione e pace. Li osservò mentre si preparavano per la messa, e un senso di gratitudine lo pervadeva. Il monastero era stato liberato dal male che lo aveva infestato, e lui aveva contribuito a ripristinare la pace in quel luogo sacro. La demoniaca statuetta, simbolo di una maledizione antica, era stata distrutta, e con essa, le ombre che avevano oscurato il monastero per così tanto tempo erano finalmente svanite.

L'abate Gregorio e frate Tommaso avevano sacrificato tutto, e ora Matteo sentiva che il loro sacrificio non era stato vano. Con un ultimo sguardo verso il cielo che si schiariva, Matteo entrò nel monastero, pronto a vivere una nuova vita in un luogo finalmente liberato dalla tenebra.

La luce del giorno era arrivata, e con essa, un nuovo inizio per il Monastero di San Pietro in Silva.

8 commenti:

  1. Premetto che non amo molto il genere thriller e sinceramente faccio fatica nella lettura di questo genere. Ma devo ammettere che questo brano è davvero scorrevole e coinvolgente. Ho apprezzato molto il coraggio del protagonista Matteo ed infine complimenti alla penna dell' autore che lo ha portato alla luce. Costa86

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    1. Grazie mille per il tuo commento! Sono davvero felice che tu abbia trovato il racconto scorrevole e coinvolgente, nonostante non sia un genere che apprezzi particolarmente. Il coraggio di Matteo è un aspetto centrale della storia, e sapere che è stato apprezzato è per me motivo di grande soddisfazione. Grazie ancora per i complimenti!

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    2. Anch'io non amo molto i thriller, ma questo è un racconto che si legge volentieri.
      Giuseppe hai definito al meglio il coraggio del protagonista che ha rischiato la sua vita per il bene della comunità.

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    3. "Grazie mille per le tue parole! Sono felice che il racconto ti sia piaciuto nonostante il genere thriller non sia tra i tuoi preferiti. Matteo è davvero un personaggio coraggioso, e mi fa piacere che il suo sacrificio per la comunità sia emerso chiaramente. Il suo percorso di lotta tra il bene e il male era uno degli aspetti centrali della storia. Grazie ancora per aver condiviso il tuo pensiero!"

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  2. Racconto molto interessante, anche perché il genere thriller è il mio preferito. Interessante anche il grande lavoro portato avanti da mio cugino Giuseppe. Avere la passione della lettera, della scrittura, e più in generale, delle cultura, è motivo di grande orgoglio! Continua così Giuseppe. Un abbraccio.

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    1. Grazie mille per il tuo commento! È bello vedere che la passione per la cultura in generale è condivisa in famiglia. Un grande abbraccio a te.

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  3. Bellissimo racconto, avvincente e accattivante, l'ho letto con molto interesse. I tuoi scritti, caro Giuseppe, lasciano il segno così come il protagonista Matteo.
    Complimenti davvero.

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    1. Grazie mille per averlo letto con interesse e per averlo commentato. Un saluto!

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