In fondo, tutto ciò che l'uomo può fare è camminare accanto alla natura, senza mai cercare di domarla.
Il custode del vigneto
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Agli inizi del 1900,
Lizzano, piccolo borgo in Terra d’Otranto, era un paese immerso nel silenzio
della campagna. La vita qui si intrecciava profondamente con la terra: uliveti
che si estendevano a perdita d'occhio, vigneti dalle foglie verdi e terreni
aridi che faticosamente venivano lavorati dai contadini locali. La Puglia, con
il suo sole cocente e il vento di scirocco, offriva abbondanza ma anche sfide a
Michele, un uomo di quarant'anni dal volto scavato e dalle mani callose. Era
uno di quei contadini che conoscevano bene le stagioni della terra. Aveva
ereditato un piccolo appezzamento di vigneti dal padre, che a sua volta lo
aveva ricevuto dal nonno. Per lui, la terra non era solo una fonte di
sostentamento, ma un'eredità sacra, un legame con il passato e una speranza per
il futuro. Ogni filare d'uva raccontava una storia di sacrifici e di lavoro, di
siccità affrontate e di raccolti abbondanti.
L'inverno del 1903 era
stato particolarmente rigido. Le gelate avevano minacciato le viti, e Michele
sapeva che l'anno successivo sarebbe stato difficile. Mentre camminava tra i
suoi campi, osservando le piante che resistevano, sentiva il peso delle
preoccupazioni gravare su di lui. Sua moglie, Maria, lo aveva visto tornare
ogni sera più stanco, con il volto pensieroso e il passo lento. "Non
possiamo farci niente" gli diceva, cercando di rassicurarlo. "La terra fa il suo corso. Dobbiamo
avere pazienza". Eppure, Michele sentiva crescere in sé l'inquietudine.
L'amore per la terra era immutato, ma il timore che le tradizioni da sempre
seguite non bastassero più, lo tormentavano.
La primavera arrivò,
portando un po' di sollievo. Tuttavia, i tempi stavano cambiando. Nelle
conversazioni al mercato, si parlava sempre più spesso di nuove tecniche
agricole e di macchine che potevano facilitare il lavoro. Alcuni giovani del
paese, come Antonio, il figlio del fabbro, si stavano trasferendo in città per
studiare agraria e tornavano con idee innovative. "Dobbiamo
modernizzarci" diceva Antonio ai contadini riuniti nella piazza.
"Non possiamo continuare a lavorare la terra come facevano i nostri padri
e i nostri nonni. C'è un modo migliore".
Michele ascoltava in silenzio, scettico. Era un uomo legato alle tradizioni, e l'idea di usare macchine al posto delle sue mani lo metteva a disagio. Eppure, non poteva ignorare il fatto che i tempi stavano cambiando. Un giorno, Antonio si avvicinò a lui mentre ripuliva le viti. "Zio Michele" disse con rispetto, "Ho visto come lavori e so che sei il più bravo con la vite. Ma immagina cosa potresti fare con una macchina per arare i campi o per la vendemmia. Risparmieresti tempo e fatica". Michele si fermò, il viso segnato dal sole e dagli anni di lavoro. Guardò Antonio, il ragazzo che aveva visto crescere. "E cosa ne sai tu delle viti, Antonio? Le hai mai toccate con mano? Una macchina non può capire la delicatezza della terra". Antonio sorrise, ma non si arrese. "Non dico di sostituire le mani, zio. Dico solo che possiamo usare la tecnologia per far crescere di più e meglio. Altri paesi stanno già facendo così, e noi rischiamo di restare indietro". Quella notte, Michele rifletté a lungo sulle parole del giovane. Resistere al cambiamento poteva essere rischioso, ma temeva di perdere quel legame intimo con la terra. Tuttavia, il desiderio di garantire un futuro migliore ai suoi figli e nipoti iniziava a farsi strada.
In autunno, il paese si riunì per la tradizionale festa del raccolto. Le botti di vino nuovo riempivano l'aria di profumo dolce, e le risate dei contadini si mescolavano al suono della musica. Michele, seduto accanto a Maria, guardava i campi illuminati dalla luce dorata del tramonto. Antonio si avvicinò con un bicchiere di vino appena spremuto. "A te, zio Michele" disse, alzando il bicchiere in segno di rispetto. Michele prese il bicchiere e lo sollevò, sorridendo. "A noi" rispose, guardando il cielo che si tingeva di rosso. "Alla terra e al futuro che ci aspetta".
Michele osservava il cielo che si tingeva dei colori del tramonto, riflettendo su quanto fosse cambiato negli ultimi mesi. La macchina per la vendemmia che Antonio gli aveva proposto si era rivelata utile: il lavoro era stato meno faticoso e, per la prima volta, Michele aveva concluso la stagione senza dolori alle mani. Eppure, una parte di lui continuava a chiedersi se quel cambiamento fosse davvero necessario, se la tradizione che per generazioni aveva scandito la vita della sua famiglia, potesse coesistere con quelle nuove tecnologie. Nelle settimane seguenti alla vendemmia, il paese di Lizzano era tornato alla sua quieta routine. L'autunno avanzava, e i contadini iniziavano a preparare i campi per l'inverno. Ogni giorno, Michele si recava al mercato per vendere il vino appena prodotto. La qualità era buona, migliore del solito, e i compratori locali si accalcavano al suo banco. Ma l'uomo sentiva che qualcosa mancava. Il lavoro nei campi non era più lo stesso, non c'era più quel senso di intima comunione con la terra che aveva sempre conosciuto. Un giorno, mentre Michele camminava verso casa sotto il cielo limpido di novembre, incontrò Antonio. Il giovane sembrava più entusiasta che mai e si avvicinò con un sorriso aperto. "Zio Michele" esordì, "ho ricevuto una lettera da un mio amico di Bari. Mi ha parlato di nuove tecniche per la gestione dell'acqua nei campi. Con questi metodi, potremmo superare ancora tanti altri problemi”.
La sera della festa, mentre il vino scorreva e le risate riempivano l'aria, Michele si ritrovò a parlare con Antonio, seduto su una panca di legno vicino al fuoco "Hai avuto ragione, Antonio" disse Michele, guardando le fiamme danzare nel buio. "La terra ha ancora molto da insegnarci, ma dobbiamo essere disposti a imparare in modi diversi. Non ho paura del cambiamento, finché posso continuare a sentire il battito di questa terra sotto i miei piedi". Antonio sorrise, sollevando il bicchiere. "A te, zio Michele, per il coraggio di guardare avanti senza dimenticare il passato”.
Non era più solo una questione di fatica o di tradizione, ma di come ci si adatta ai tempi senza perdere quel legame intimo con la terra. Il vino prodotto con l'aiuto delle nuove tecniche aveva un sapore pieno, come se la terra stessa avesse capito il cambiamento e l'avesse accettato. Eppure, Michele si interrogava se quella strada avrebbe davvero portato il paese verso un futuro più prospero. Un pomeriggio, mentre controllava le botti nella cantina, sentì il rumore di passi avvicinarsi. Era Antonio, con un fascicolo di carte in mano e il solito sorriso carico di entusiasmo. "Zio Michele, ho delle novità!" esclamò, quasi senza fiato. "Il mio amico di Bari sta organizzando un incontro con agricoltori di tutta la regione. Voglio creare una cooperativa per distribuire le risorse idriche in modo più efficiente. Potremmo migliorare ancora di più i raccolti e vendere il vino in altri paesi!" Michele lo ascoltò attentamente. C'era qualcosa di affascinante in quel progetto, ma allo stesso tempo sentiva una certa apprensione. L'idea di entrare a far parte di un gruppo così ampio, di condividere risorse e conoscenze con persone che non conosceva, gli faceva temere di perdere il controllo di ciò che aveva sempre custodito con cura: la sua terra. "Capisco cosa provi, zio. Ma pensa a quanto potremmo fare insieme, noi contadini, se ci unissimo. Potremmo proteggere meglio la terra, non solo per noi, ma anche per le generazioni future". E con questa promessa, Michele decise di unirsi alla cooperativa, non senza qualche dubbio.
L'anno seguente fu uno dei più prosperi per Michele e la sua famiglia. I vigneti erano più rigogliosi che mai, e il vino prodotto aveva ottenuto riconoscimenti anche fuori dai confini della Puglia. Antonio, ora coinvolto nella gestione della cooperativa, aveva portato a Lizzano nuove opportunità, ma sempre con il rispetto che Michele gli aveva insegnato. Una sera d'estate, mentre Michele si riposava sotto un ulivo, osservando il cielo stellato, sentì una pace profonda. Sapeva che aveva trovato un equilibrio tra tradizione e progresso, tra il passato e il futuro. E così, come la terra, anche Michele continuò ad evolversi, restando però sempre fedele a ciò che gli aveva insegnato la vita: che, in fondo, tutto ciò che l'uomo può fare è camminare accanto alla natura, senza mai cercare di domarla.
Una coesione che spesso non esiste, la scenza ed il contatto della terra. Questo racconto potrebbe insegnarci tanto a si progredire ma saper essere saggi guardando il passato e non perdere il contatto con la terra...
RispondiEliminaLa coesione tra scienza e contatto con la terra, spesso trascurata, potrebbe essere la chiave per un progresso equilibrato. La scienza ci spinge verso nuove frontiere, ma senza perdere il legame con la terra, con le radici della nostra esistenza, possiamo evitare di cadere nell'illusione di un progresso fine a sé stesso. Guardare al passato con saggezza, senza dimenticare l'importanza del contatto con la natura, ci insegna a progredire in armonia, rispettando ciò che ci ha permesso di arrivare fino a qui.
EliminaFatica delle mani e innovazione si intrecciano in codesto racconto che parla di attaccamento alla terra e alla valorizzazione e conoscenza del territorio. Giuseppe Marino lo fa in modo misurato e armonioso utilizzando una scrittura diretta, comunicativa e al contempo avvincente. Egli parla di futuro ma con uno sguardo sempre rivolto al passato, quasi a dirci che abbiamo il dovere di guardare ad esso per vivere bene il presente e programmare sempre meglio il futuro. Passato, presente e futuro sono, in realtà, sintagmi di una stessa linea.
RispondiEliminaRacconto davvero bello che si presta ad una lettura breve, piacevole e meditativa. Complimenti, Giuseppe!
Maddalena Corigliano
Il racconto che qui ho pubblicato ci ricorda quanto sia fondamentale mantenere un equilibrio tra tradizione e innovazione. Il passato non è un fardello, ma una guida preziosa per comprendere il presente e costruire un futuro più consapevole. In questo breve racconto la fatica delle mani, simbolo del legame con la terra, si intreccia con l’innovazione: esso si presta ad una riflessione profonda sul valore del territorio e della conoscenza radicata. Grazie mille Maddalena per averlo letto e commentato. Un caro saluto!
EliminaIl tema centrale del racconto, ovvero il rapporto dell'uomo con la terra e con il cambiamento, è trattato con grande sensibilità, senza mai cadere nella banalità. La conclusione, con Michele che trova una pace interiore accettando il progresso senza rinunciare alle sue radici, è una riflessione profonda sull'importanza di sapersi adattare ai tempi senza perdere la propria identità.
RispondiEliminaIn definitiva, questo racconto è un piccolo gioiello narrativo che riesce a intrecciare emozioni, tradizioni e riflessioni sul futuro in modo armonioso e poetico. Complimenti vivissimi Giuseppe per la tua capacità di dare voce a temi così universali attraverso una storia apparentemente semplice ma dal grande valore simbolico.
Grazie mille per le tue parole! Sono felice che il racconto abbia suscitato una riflessione così profonda. Il rapporto tra l'uomo e la terra, tra il passato e il futuro, è un tema che mi sta molto a cuore. Sono contento di essere riuscito a trasmettere l'importanza di restare fedeli alle proprie radici, pur accogliendo il cambiamento. Il tuo apprezzamento mi motiva a continuare a esplorare questi argomenti. Grazie mille!!!
EliminaQuesto pezzo di terra che affronta un vero e proprio viaggio fra le generazioni, restando sempre una fonte di grande eredità. Ma una volta giunto nelle mani di Michele, grazie ai consigli di Antonio e della sua ventata di innovazione, trova il coraggio di renderlo ancora più redditizio. Non bisogna restare immuni verso la modernità, ma bensì accettarla ed utilizzarla al meglio nel rispetto della natura. In primis complimenti al coraggio dimostrato dal protagonista che non tutti hanno e che continuano a restare ancorati nel loro piccolo dando renda alla propria testardaggine contro il progresso. La ricerca scientifica ogni giorno fa passi da gigante ed è il nostro vero futuro. Infine congratulazioni all' autore Giuseppe Marino che è riuscito a trovare il perfetto connubio fra tradizione e scienza.
RispondiEliminaCostantina Ninno.
Questo racconto vorrebbe celebrare un tema importante: l’equilibrio tra tradizione e innovazione. Ho cercato di mettere in luce il coraggio di Michele, che, pur rispettando l’eredità del passato, accetta il cambiamento e lo sfrutta per rendere la terra più produttiva, senza compromettere l’ambiente. È un messaggio forte sulla necessità di aprirsi al progresso scientifico, mantenendo però un legame con le radici. Questo connubio ben riflette il mondo di oggi, in cui è essenziale integrare la modernità con saggezza e responsabilità verso il futuro.
EliminaÈ un bellissimo racconto. Con molta semplicità mette in evidenza le radici al passato con lo sguardo al futuro.
RispondiEliminaColpisce l'apprensione di Michele, ma che non si fa sopraffare da essa perché si fida del nipote, il quale anche lui, è legato alla sua terra nonostante la giovane età e questo gli fa onore. Abbiamo bisogno di giovani che investono sul loro territorio e questa storia è il riscatto dell'amore che si ha per la natura senza dimenticare le conoscenze acquisite da chi ci ha preceduto e insegnato le basi per migliorare il nostro futuro.
Giuseppe hai raccontato i sacrifici della lavorazione della terra con la delicatezza di chi sa amare il suo lavoro.
Con semplicità, ho cercato di mettere in luce il legame profondo con le radici del passato, mantenendo uno sguardo fiducioso verso il futuro. L'apprensione di Michele è palpabile, ma non si lascia sopraffare, confidando nel nipote, che nonostante la sua giovane età dimostra un forte attaccamento alla sua terra. Questo gli fa onore. Abbiamo bisogno di giovani che credano e investano nel loro territorio, come in questa storia che celebra l'amore per la natura e il valore delle conoscenze tramandate. Grazie!!!
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