E quando apparirai sul confine rosso dell'orizzonte beneamata agognata immagine non sciogliere i tuoi contorni nei colori dei tramonti.

lunedì 30 giugno 2025

Un racconto, tante voci. Riepilogo Giugno 2025

Anche questo mese si è chiuso con la magia delle parole condivise. Un racconto, tante voci continua a dimostrare che la creatività non ha confini, e che da uno stesso spunto possono nascere visioni completamente diverse, tutte straordinariamente autentiche.

Grazie di cuore a tutti coloro che hanno partecipato. Ogni racconto è un tassello prezioso di questa narrazione collettiva.


Sogno d'estate

Racconto di Maddalena Corigliano Bivona


Questo racconto possiede la delicatezza di una fiaba e il lirismo di un sogno vissuto a occhi chiusi ma con il cuore aperto. Il confine tra realtà e immaginazione si dissolve sin dalle prime righe, dando vita a un’atmosfera sospesa e onirica in cui ogni elemento – dal cielo capovolto ai pesci tra le stelle – trasporta il lettore in un universo incantato, interiore e simbolico.

Mara, protagonista sensibile e coraggiosa, incarna l’amore puro e il desiderio di dare senso ai propri sogni. La sua impresa, quasi mitica, di salvare il capitano cieco attraversando gli abissi, diventa metafora di un amore che salva e dona luce, perfino a ciò che sembrava perduto. L’incontro finale con l’uomo reale – bello come il sogno – suggella il racconto con un messaggio di speranza: ciò che si sogna con il cuore può trasformarsi in realtà.

Uno stile semplice ma evocativo accompagna lo sviluppo del racconto, lasciando al lettore una sensazione di dolce meraviglia, come il sapore della salsedine sulla pelle in un mattino d’estate.


Quell’estate cominciò con un sogno: il cielo si era capovolto, e al posto delle nuvole c’erano onde lente, azzurre, abitate da pesci che nuotavano tra le stelle.
Ogni notte, Mara si addormentava con il rumore della risacca nel cuore e si svegliava con la sabbia tra le dita. Nessuno sembrava accorgersi di nulla, ma lei sapeva che qualcosa stava cambiando.

Poi, una mattina… Mara continuò a dormire a lungo e a sognare.

All’orizzonte apparve una nave pirata. Il capitano era un ragazzo alto, dal-la pelle color ebano e dai capelli scuri come la notte e i suoi occhi spicca-vano sul suo viso come due campi verdi.

Mara se ne innamorò subito. In lui vedeva l’uomo della sua vita atteso per anni. Sì, era lui il suo principe che anziché giungere su un cavallo bianco giungeva su un galeone.

La nave si avvicinava sempre più e lei rapita dal suo capitano si perdeva nei suoi occhi. Occhi però spenti. Sì, il bellissimo capitano era cieco. Era stato vittima di un maleficio. Al timone, infatti, vi era il suo quartiermastro pirata. Il bellissimo capitano era sull’albero maestro e si lasciava accarezzare dalla brezza marina e baciare dal sole. Mara si accorse subito della sua cecità perché non governava la ciurma ma ne sentiva solo le grida. Tutti a piena voce berciavano:” Terra, terra!”.

Scesero dal galeone. Lei era l’unica persona su quella spiaggia dorata e deserta.

Si accostò immediatamente al capitano che le raccontò del suo incantesimo e che per riacquistare la vista aveva bisogno di una fanciulla che scendesse nelle profondità del mare per trovare uno smeraldo dalla forma di una stel-la marina. La brillantezza dello smeraldo riflessa nei suoi occhi gli avrebbe restituito la bellezza del vedere.

Mara commossa e senza esitazione si immerse negli abissi del mare. Nuotò e cercò lo smeraldo tra gli anfratti delle rocce e delle barriere coralline e tra i pesci dalle mille e svariate forme e dai colori infiniti.

Dopo tanto cercare trovò finalmente la stella di smeraldo tra le folte e variegate alghe. Era adagiata lì da tantissimo tempo, forse da quando il bel capitano ancora bambino aveva subito l’incantesimo di una spietata vec-chia invaghita dei suoi occhi.

Mara afferrò la stella marina, riemerse e la portò al capitano.

Quella mattina, però, il sole non era ancora sorto a squarciare le nuvole. C’era un’alba appena accennata.

Quelle ore di attesa a Mara parvero più lunghe di tutte le notti e di tutti i giorni impiegati per trovare la stella preziosa.

Tra ansie e ore lente il sole fece finalmente capolino nel cielo e con i suoi raggi illuminò lo smeraldo.

Mara in trepida attesa vide un fremito tra le ciglia del suo bel capitano. Il giovane incominciò a guardarsi intorno e scorse Mara: una ragazza dalla pelle chiara, dai capelli biondi e dagli occhi azzurri come il mare.

Il capitano rimase abbagliato dalla sua bellezza e dolcezza. Capì che era innamorata di lui, perché solo una donna innamorata avrebbe sfidato gli abissi del mare come aveva fatto lei.

Le si avvicinò, la guardò profondamente negli occhi e la baciò con dolcezza.

Mara si svegliò, si ritrovò sola ma felice del suo sogno.

Si sentiva un’eroina che aveva ridato la vista agli occhi spenti del suo uomo, anche se di lui non seppe mai il nome.

Felice e speranzosa ritornò alla quotidianità della sua calda estate. Guardando il mare sorrideva al pensiero del suo sogno e aspettava di veder giungere su un vascello il capitano della sua vita reale.

Una mattina dal lucore insolito e dal sapore di salsedine nell’aria vide emergere dalle acque azzurre e limpide un ragazzo dagli occhi verdi e bello come un Adone: era l’uomo tanto atteso che avrebbe finalmente cambiato la sua esistenza.

Il sogno era stato premonitore di una bellissima nuova realtà da vivere senza timori e pienamente non solo per l’intera estate, ma per tutta la vita.


Vite alla deriva

Racconto di Chiccina

blog di Chicchina


Questo racconto intenso e struggente è un delicato viaggio nella mente e nel cuore di una donna che, lentamente, scivola tra le onde del tempo e della memoria. La scrittura alterna sapientemente prosa e poesia, realtà e sogno, offrendo al lettore un ritratto commovente della fragilità umana di fronte all’avanzare della malattia e della vecchiaia.

Il mare, protagonista silenzioso ma costante, diventa specchio dell’anima, custode di ricordi e rifugio di serenità. Mara, in bilico tra lucidità e smarrimento, affida alle onde i frammenti della sua esistenza: l’infanzia, la famiglia, le voci amate ormai sfocate. E proprio nel dialogo con il mare trova la sua ancora, il suo ultimo contatto autentico con la vita e con se stessa.

Il finale, in versi, suggella con potenza emotiva il senso di perdita e insieme di nostalgia dolceamara che attraversa l’intero racconto. "Vite alla deriva" è un omaggio delicato alla memoria, all’amore e alla dignità di chi, pur smarrendo la rotta, continua a cercare il proprio mare interiore.


“Quell’estate cominciò con un sogno: il cielo si era capovolto, e al posto delle nuvole c’erano onde lente, azzurre, abitate da pesci che nuotavano tra le stelle.
Ogni notte, Mara si addormentava con il rumore della risacca nel cuore e si svegliava con la sabbia tra le dita. Nessuno sembrava accorgersi di nulla, ma lei sapeva che qualcosa stava cambiando.

Poi, una mattina …” Mara si svegliò, come al solito, al primo sole, che a fine maggio è già mattiniero. Però, contrariamente al solito, non indugiò a letto, sembrava avere altre urgenze. Si vestì, prese le chiavi dell'auto, la sua solita piccola ma capiente borsa di tela rosa ed uscì. Il marito fece appena in tempo a bloccarla sulla porta per chiederle dove intendeva andare così di corsa. Ha dato qualche spiegazione sommaria e si chiuse la porta alle spalle. Arrivò in un attimo al mare, il suo mare, solito posto, sabbia ancora umida e quel tronco provvidenziale che una delle tante mareggiate invernali aveva spiaggiato, proprio lì.
Si sedette, sussurrando qualcosa poi restò in silenzio, ad ascoltare. Il mare era musica, appena qualche increspatura, e le onde leggere e silenziose cercavano un approdo morbido sulla rena, con quei bisbigli strani che fa la schiuma quando si frantuma in tanti piccoli pezzetti di merletto sfrangiato. Un'onda appena più forte, e Mara si è come svegliata da un incanto ed iniziò a parlare. Col mare. Gli chiese conto del perché ancora non era stata costruita la piccola tettoia che da sempre riparava dal forte sole, dov'era finito suo padre? I bambini stavano per arrivare e non c'era ancora niente pronto. Poi, incerta, si guardò intorno. Era sola. Ha concesso un suo sorriso al mare, una forma di saluto e riprese la strada di casa.

Quel cielo capovolto, che faceva scivolare fino a terra nuvole e qualche stella mentre si riempiva di pesci scogli increspature di onde che lei cercava di afferrare ma che sfuggivano, la lasciavano stranita, fino all'alba. Poi tutto sembrava tornare a posto e lei, spesso, lasciava tutto per seguire una traccia, una voce, un richiamo.

Un colloquio fitto fitto col mare, meglio un soliloquio. si raccontava, mischiava ricordi infantili ed eventi recenti, lei già madre, con figli adulti, e lei bambina portata per mano dal padre, in certe lunghe passeggiate sulla sabbia, fino agli scogli che chiudevano quell'insenatura dove una selva di ombrelloni, sedie, tavolini pinne canne da pesca davano più l'idea di un piacevole bivacco per ore diurne e serali che non un lido. Era il suo mare, il loro mare, una tribù di fratelli sorelle, nipoti pronipoti zie amici. Ma molti visi, molte voci, nei suoi momenti di silenzioso rapporto col mare, iniziavano a perdere i contorni .

Un giorno in macchina, ha sbagliato direzione, non riusciva più a trovare la via del ritorno, ha continuato a chiamare il padre il marito tutti quelli che si presentavano alla mente, ora confusa. L'hanno riaccompagnata a casa. Niente più chiavi o auto. Triste il responso clinico. Viveva in un suo mondo fatto di ricordi immagini e chissà, anche di fantasmi. Di tanto in tanto chiedeva solo di vedere il mare. Si sedeva sulla battigia, in silenzio, perdendo ogni cognizione di tempo, ma riacquistava una serenità e quasi una gioia che per qualche momento faceva dimenticare il peggio anche ai familiari che con cura e pazienza cercavano di assecondarla. Poi, stanca, chiudeva il tempo della memoria con un intimo fitto colloquio col suo mare, un sorriso come saluto, ed era il segnale del ritorno. Nel suo mondo.

Non lo vedevi il mare
separato da strada e ferrovia
alte per i tuoi anni, ancora pochi.
Ma lo sentivi bene:
le notti che nel mare era tempesta,
i pomeriggi calmi di risacca,
le mattinate con il cielo azzurro
e le onde a carezzare la battigia.
E, lontana, sognavi, al tuo ritorno
lunghe nuotate e chiacchiere
e merende di pane, pomodoro
sale origano e ...sabbia e le partite
a carte con gli amici vecchi e nuovi.
E pensi ancora al mare:
ci pensi quando tornano i ricordi
sbattuti sugli scogli della vita,
quando le mareggiate della mente
portano a riva pezzi sfilacciati
degli anni andati, misera zavorra
strappata a forza a quell'ultima zattera
su cui speravi trovare salvezza


Racconto di Franco Battaglia

blog di Franco Battaglia

Questo racconto è una delicata immersione nell’onirico, dove il confine tra sogno e realtà si dissolve in un fluido incanto. L’incipit poetico cattura subito l’attenzione, con l’immagine suggestiva del cielo che si trasforma in mare, popolato da pesci e stelle: un rovesciamento simbolico che annuncia un viaggio interiore.

La protagonista, Mara, diventa figura di passaggio tra due mondi, capace di percepire ciò che gli altri ignorano. Il suo attraversamento dalla finestra — quasi un rito di passaggio — segna l’ingresso definitivo in una dimensione altra, dove le leggi fisiche non valgono più, ma si respira con naturalezza, si nuota verso l’alto, si vive il sogno come fosse l’unica realtà.

La scrittura ha un andamento fluido, coerente con il tema liquido del racconto. Le immagini si rincorrono, ricche di simbologia: la sabbia tra le dita, la risacca nel cuore, la stella marina come metafora di una nuova identità sensibile e intermedia. C’è un senso profondo di libertà e di compimento nella scelta finale di non svegliarsi più, di restare per sempre in quel cielo-mare capovolto dove i tormenti trovano finalmente pace.

Un racconto evocativo, visionario, sospeso tra malinconia e meraviglia. Potrebbe benissimo appartenere alla narrativa breve fantastica, alla maniera di Calvino o Buzzati, per come riesce a rendere concreto l’assurdo e poetico l’inspiegabile.

 

“Quell’estate cominciò con un sogno: il cielo si era capovolto, e al posto delle nuvole c’erano onde lente, azzurre, abitate da pesci che nuotavano tra le stelle.
Ogni notte, Mara si addormentava con il rumore della risacca nel cuore e si svegliava con la sabbia tra le dita. Nessuno sembrava accorgersi di nulla, ma lei sapeva che qualcosa stava cambiando.

Poi, una mattina …” ...acqua dappertutto, ma non solo a terra, eravamo come immersi, però respiravamo con naturalezza, anche se la nuova dimensione stava rendendo complicati i movimenti e la presa degli oggetti, non sentiva gli arti, eppure Mara uscì dalla finestra nuotando e, guardando sopra di lei, si diresse in superficie, una volta lambita la superficie rimase sbalordita di nuovo, non scorgeva cielo e nubi, ma strade, case rovesciate. Non solo stava abitando una nuova dimensione, in un cielo liquido che mischiava astri e conchiglie, ma c’era un collegamento fisico tra mare e cielo, e quest’ultimo che sembrava - riuscendoci – voler assorbire tutto il sottostante, per un nuovo punto di vista che sembrava dare vita ad ogni sua notte passata solo a viverli, certi momenti; un sogno materializzatosi che la frastornava, la risacca ora lambiva quella che sembrava pelle e la sabbia fluttuava davanti alla sua vista, era un mondo a rovescio che riusciva a farle sorridere il cuore, forse stava diventando qualcosa di diverso, qualcosa capace di abitarli entrambi i mondi, entrambe le dimensioni: una stella marina dalla particolare sensibilità, non avrebbe mai più voluto svegliarsi, e non si svegliò, passò l’estate fluttuando nel cielo mare che aveva sempre desiderato e intuito nelle sue notti incompiute e tormentate, cercando solo una via lattea marina dove riflettersi per sempre senza più alcuna necessità di un risveglio a sorpresa.


Racconto di Giuseppe Marino

Poi, una mattina, trovò una conchiglia sul cuscino. Era umida di sale, viva. Avvicinandola all’orecchio, Mara non udì il solito mare: una voce sussurrava il suo nome, flebile ma insistente, come un’eco venuta da un tempo lontano.

Seguì l’istinto. Scese in spiaggia, scalza, ancora in pigiama, mentre il villaggio dormiva. Il mare la attendeva, calmo e piatto come uno specchio. Quando vi mise piede, non affondò. Le onde si aprirono sotto di lei, solide come vetro liquido.

Camminò sull’acqua, seguendo un banco di pesci-luce che disegnavano sentieri tra le costellazioni riflesse. Ogni passo era un ricordo dimenticato che riaffiorava: una promessa fatta da bambina, una storia raccontata dalla nonna, un sogno che credeva perso.

Raggiunse il centro del mare, dove il cielo toccava l’orizzonte. Lì, un portale fatto di corallo e vento l’attendeva. Attraversandolo, Mara non sparì: si risvegliò, davvero. Conchiglia ancora in mano, sabbia tra le dita, e il cuore, finalmente, pieno di risposte.


Prossimo appuntamento il 2 giugno con un nuovo incipit e tante storie da raccontare!!!


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