Anche questo mese si è chiuso con la magia delle parole condivise. Un racconto, tante voci continua a dimostrare che la creatività non ha confini, e che da uno stesso spunto possono nascere visioni completamente diverse, tutte straordinariamente autentiche.
Grazie di cuore a tutti coloro che hanno partecipato. Ogni racconto è un tassello prezioso di questa narrazione collettiva.
Sogno d'estate
Racconto di Maddalena Corigliano Bivona
Questo racconto possiede la delicatezza di una fiaba e il lirismo di un sogno vissuto a occhi chiusi ma con il cuore aperto. Il confine tra realtà e immaginazione si dissolve sin dalle prime righe, dando vita a un’atmosfera sospesa e onirica in cui ogni elemento – dal cielo capovolto ai pesci tra le stelle – trasporta il lettore in un universo incantato, interiore e simbolico.
Mara, protagonista sensibile e coraggiosa, incarna l’amore puro e il desiderio di dare senso ai propri sogni. La sua impresa, quasi mitica, di salvare il capitano cieco attraversando gli abissi, diventa metafora di un amore che salva e dona luce, perfino a ciò che sembrava perduto. L’incontro finale con l’uomo reale – bello come il sogno – suggella il racconto con un messaggio di speranza: ciò che si sogna con il cuore può trasformarsi in realtà.
Uno stile semplice ma evocativo accompagna lo sviluppo del racconto, lasciando al lettore una sensazione di dolce meraviglia, come il sapore della salsedine sulla pelle in un mattino d’estate.
Quell’estate
cominciò con un sogno: il cielo si era capovolto, e al posto delle nuvole
c’erano onde lente, azzurre, abitate da pesci che nuotavano tra le stelle.
Ogni notte, Mara si addormentava con il rumore della risacca nel cuore e si
svegliava con la sabbia tra le dita. Nessuno sembrava accorgersi di nulla, ma
lei sapeva che qualcosa stava cambiando.
Poi,
una mattina… Mara continuò a dormire a lungo e a sognare.
All’orizzonte
apparve una nave pirata. Il capitano era un ragazzo alto, dal-la pelle color
ebano e dai capelli scuri come la notte e i suoi occhi spicca-vano sul suo viso
come due campi verdi.
Mara
se ne innamorò subito. In lui vedeva l’uomo della sua vita atteso per anni. Sì,
era lui il suo principe che anziché giungere su un cavallo bianco giungeva su
un galeone.
La
nave si avvicinava sempre più e lei rapita dal suo capitano si perdeva nei suoi
occhi. Occhi però spenti. Sì, il bellissimo capitano era cieco. Era stato
vittima di un maleficio. Al timone, infatti, vi era il suo quartiermastro
pirata. Il bellissimo capitano era sull’albero maestro e si lasciava
accarezzare dalla brezza marina e baciare dal sole. Mara si accorse subito
della sua cecità perché non governava la ciurma ma ne sentiva solo le grida.
Tutti a piena voce berciavano:” Terra, terra!”.
Scesero
dal galeone. Lei era l’unica persona su quella spiaggia dorata e deserta.
Si
accostò immediatamente al capitano che le raccontò del suo incantesimo e che
per riacquistare la vista aveva bisogno di una fanciulla che scendesse nelle
profondità del mare per trovare uno smeraldo dalla forma di una stel-la marina.
La brillantezza dello smeraldo riflessa nei suoi occhi gli avrebbe restituito
la bellezza del vedere.
Mara
commossa e senza esitazione si immerse negli abissi del mare. Nuotò e cercò lo
smeraldo tra gli anfratti delle rocce e delle barriere coralline e tra i pesci
dalle mille e svariate forme e dai colori infiniti.
Dopo
tanto cercare trovò finalmente la stella di smeraldo tra le folte e variegate
alghe. Era adagiata lì da tantissimo tempo, forse da quando il bel capitano
ancora bambino aveva subito l’incantesimo di una spietata vec-chia invaghita
dei suoi occhi.
Mara
afferrò la stella marina, riemerse e la portò al capitano.
Quella
mattina, però, il sole non era ancora sorto a squarciare le nuvole. C’era
un’alba appena accennata.
Quelle
ore di attesa a Mara parvero più lunghe di tutte le notti e di tutti i giorni
impiegati per trovare la stella preziosa.
Tra
ansie e ore lente il sole fece finalmente capolino nel cielo e con i suoi raggi
illuminò lo smeraldo.
Mara
in trepida attesa vide un fremito tra le ciglia del suo bel capitano. Il
giovane incominciò a guardarsi intorno e scorse Mara: una ragazza dalla pelle
chiara, dai capelli biondi e dagli occhi azzurri come il mare.
Il
capitano rimase abbagliato dalla sua bellezza e dolcezza. Capì che era
innamorata di lui, perché solo una donna innamorata avrebbe sfidato gli abissi
del mare come aveva fatto lei.
Le
si avvicinò, la guardò profondamente negli occhi e la baciò con dolcezza.
Mara
si svegliò, si ritrovò sola ma felice del suo sogno.
Si
sentiva un’eroina che aveva ridato la vista agli occhi spenti del suo uomo,
anche se di lui non seppe mai il nome.
Felice
e speranzosa ritornò alla quotidianità della sua calda estate. Guardando il
mare sorrideva al pensiero del suo sogno e aspettava di veder giungere su un
vascello il capitano della sua vita reale.
Una
mattina dal lucore insolito e dal sapore di salsedine nell’aria vide emergere
dalle acque azzurre e limpide un ragazzo dagli occhi verdi e bello come un
Adone: era l’uomo tanto atteso che avrebbe finalmente cambiato la sua
esistenza.
Il
sogno era stato premonitore di una bellissima nuova realtà da vivere senza
timori e pienamente non solo per l’intera estate, ma per tutta la vita.
Vite alla deriva
Racconto di Chiccina
Questo racconto intenso e struggente è un delicato viaggio nella mente e nel cuore di una donna che, lentamente, scivola tra le onde del tempo e della memoria. La scrittura alterna sapientemente prosa e poesia, realtà e sogno, offrendo al lettore un ritratto commovente della fragilità umana di fronte all’avanzare della malattia e della vecchiaia.
Il mare, protagonista silenzioso ma costante, diventa specchio dell’anima, custode di ricordi e rifugio di serenità. Mara, in bilico tra lucidità e smarrimento, affida alle onde i frammenti della sua esistenza: l’infanzia, la famiglia, le voci amate ormai sfocate. E proprio nel dialogo con il mare trova la sua ancora, il suo ultimo contatto autentico con la vita e con se stessa.
Il finale, in versi, suggella con potenza emotiva il senso di perdita e insieme di nostalgia dolceamara che attraversa l’intero racconto. "Vite alla deriva" è un omaggio delicato alla memoria, all’amore e alla dignità di chi, pur smarrendo la rotta, continua a cercare il proprio mare interiore.
“Quell’estate
cominciò con un sogno: il cielo si era capovolto, e al posto delle nuvole
c’erano onde lente, azzurre, abitate da pesci che nuotavano tra le stelle.
Ogni notte, Mara si addormentava con il rumore della risacca nel cuore e si svegliava
con la sabbia tra le dita. Nessuno sembrava accorgersi di nulla, ma lei sapeva
che qualcosa stava cambiando.
Poi,
una mattina …” Mara si svegliò, come al solito, al primo sole, che a fine
maggio è già mattiniero. Però, contrariamente al solito, non indugiò a letto, sembrava
avere altre urgenze. Si vestì, prese le chiavi dell'auto, la sua solita piccola
ma capiente borsa di tela rosa ed uscì. Il marito fece appena in tempo a
bloccarla sulla porta per chiederle dove intendeva andare così di corsa. Ha
dato qualche spiegazione sommaria e si chiuse la porta alle spalle. Arrivò in
un attimo al mare, il suo mare, solito posto, sabbia ancora umida e quel tronco
provvidenziale che una delle tante mareggiate invernali aveva spiaggiato, proprio
lì.
Si sedette, sussurrando qualcosa poi restò in silenzio, ad ascoltare. Il mare
era musica, appena qualche increspatura, e le onde leggere e silenziose
cercavano un approdo morbido sulla rena, con quei bisbigli strani che fa la
schiuma quando si frantuma in tanti piccoli pezzetti di merletto sfrangiato. Un'onda
appena più forte, e Mara si è come svegliata da un incanto ed iniziò a parlare.
Col mare. Gli chiese conto del perché ancora non era stata costruita la piccola
tettoia che da sempre riparava dal forte sole, dov'era finito suo padre? I
bambini stavano per arrivare e non c'era ancora niente pronto. Poi, incerta, si
guardò intorno. Era sola. Ha concesso un suo sorriso al mare, una forma di
saluto e riprese la strada di casa.
Quel
cielo capovolto, che faceva scivolare fino a terra nuvole e qualche stella
mentre si riempiva di pesci scogli increspature di onde che lei cercava di
afferrare ma che sfuggivano, la lasciavano stranita, fino all'alba. Poi tutto
sembrava tornare a posto e lei, spesso, lasciava tutto per seguire una traccia,
una voce, un richiamo.
Un
colloquio fitto fitto col mare, meglio un soliloquio. si raccontava, mischiava
ricordi infantili ed eventi recenti, lei già madre, con figli adulti, e lei
bambina portata per mano dal padre, in certe lunghe passeggiate sulla sabbia, fino
agli scogli che chiudevano quell'insenatura dove una selva di ombrelloni, sedie,
tavolini pinne canne da pesca davano più l'idea di un piacevole bivacco per ore
diurne e serali che non un lido. Era il suo mare, il loro mare, una tribù di
fratelli sorelle, nipoti pronipoti zie amici. Ma molti visi, molte voci, nei
suoi momenti di silenzioso rapporto col mare, iniziavano a perdere i contorni .
Un giorno in macchina, ha sbagliato direzione, non riusciva più a trovare la
via del ritorno, ha continuato a chiamare il padre il marito tutti quelli che
si presentavano alla mente, ora confusa. L'hanno riaccompagnata a casa. Niente
più chiavi o auto. Triste il responso clinico. Viveva in un suo mondo fatto di
ricordi immagini e chissà, anche di fantasmi. Di tanto in tanto chiedeva solo di
vedere il mare. Si sedeva sulla battigia, in silenzio, perdendo ogni cognizione
di tempo, ma riacquistava una serenità e quasi una gioia che per qualche
momento faceva dimenticare il peggio anche ai familiari che con cura e pazienza
cercavano di assecondarla. Poi, stanca, chiudeva il tempo della memoria con un
intimo fitto colloquio col suo mare, un sorriso come saluto, ed era il segnale
del ritorno. Nel suo mondo.
Non lo vedevi il mare
separato da strada e ferrovia
alte per i tuoi anni, ancora pochi.
Ma lo sentivi bene:
le notti che nel mare era tempesta,
i pomeriggi calmi di risacca,
le mattinate con il cielo azzurro
e le onde a carezzare la battigia.
E, lontana, sognavi, al tuo ritorno
lunghe nuotate e chiacchiere
e merende di pane, pomodoro
sale origano e ...sabbia e le partite
a carte con gli amici vecchi e nuovi.
E pensi ancora al mare:
ci pensi quando tornano i ricordi
sbattuti sugli scogli della vita,
quando le mareggiate della mente
portano a riva pezzi sfilacciati
degli anni andati, misera zavorra
strappata a forza a quell'ultima zattera
su cui speravi trovare salvezza
Racconto di Franco Battaglia
Questo racconto è una delicata immersione nell’onirico, dove il confine tra sogno e realtà si dissolve in un fluido incanto. L’incipit poetico cattura subito l’attenzione, con l’immagine suggestiva del cielo che si trasforma in mare, popolato da pesci e stelle: un rovesciamento simbolico che annuncia un viaggio interiore.
La protagonista, Mara, diventa figura di passaggio tra due mondi, capace di percepire ciò che gli altri ignorano. Il suo attraversamento dalla finestra — quasi un rito di passaggio — segna l’ingresso definitivo in una dimensione altra, dove le leggi fisiche non valgono più, ma si respira con naturalezza, si nuota verso l’alto, si vive il sogno come fosse l’unica realtà.
La scrittura ha un andamento fluido, coerente con il tema liquido del racconto. Le immagini si rincorrono, ricche di simbologia: la sabbia tra le dita, la risacca nel cuore, la stella marina come metafora di una nuova identità sensibile e intermedia. C’è un senso profondo di libertà e di compimento nella scelta finale di non svegliarsi più, di restare per sempre in quel cielo-mare capovolto dove i tormenti trovano finalmente pace.
Un racconto evocativo, visionario, sospeso tra malinconia e meraviglia. Potrebbe benissimo appartenere alla narrativa breve fantastica, alla maniera di Calvino o Buzzati, per come riesce a rendere concreto l’assurdo e poetico l’inspiegabile.
“Quell’estate
cominciò con un sogno: il cielo si era capovolto, e al posto delle nuvole
c’erano onde lente, azzurre, abitate da pesci che nuotavano tra le stelle.
Ogni notte, Mara si addormentava con il rumore della risacca nel cuore e si
svegliava con la sabbia tra le dita. Nessuno sembrava accorgersi di nulla, ma
lei sapeva che qualcosa stava cambiando.
Poi,
una mattina …” ...acqua dappertutto, ma non solo a terra, eravamo come immersi,
però respiravamo con naturalezza, anche se la nuova dimensione stava rendendo
complicati i movimenti e la presa degli oggetti, non sentiva gli arti, eppure
Mara uscì dalla finestra nuotando e, guardando sopra di lei, si diresse in
superficie, una volta lambita la superficie rimase sbalordita di nuovo, non
scorgeva cielo e nubi, ma strade, case rovesciate. Non solo stava abitando una
nuova dimensione, in un cielo liquido che mischiava astri e conchiglie, ma
c’era un collegamento fisico tra mare e cielo, e quest’ultimo che sembrava -
riuscendoci – voler assorbire tutto il sottostante, per un nuovo punto di vista
che sembrava dare vita ad ogni sua notte passata solo a viverli, certi momenti;
un sogno materializzatosi che la frastornava, la risacca ora lambiva quella che
sembrava pelle e la sabbia fluttuava davanti alla sua vista, era un mondo a
rovescio che riusciva a farle sorridere il cuore, forse stava diventando
qualcosa di diverso, qualcosa capace di abitarli entrambi i mondi, entrambe le
dimensioni: una stella marina dalla particolare sensibilità, non avrebbe mai
più voluto svegliarsi, e non si svegliò, passò l’estate fluttuando nel cielo
mare che aveva sempre desiderato e intuito nelle sue notti incompiute e
tormentate, cercando solo una via lattea marina dove riflettersi per sempre
senza più alcuna necessità di un risveglio a sorpresa.
Racconto
di Giuseppe Marino
Poi, una mattina, trovò una conchiglia sul cuscino.
Era umida di sale, viva. Avvicinandola all’orecchio, Mara non udì il solito
mare: una voce sussurrava il suo nome, flebile ma insistente, come un’eco
venuta da un tempo lontano.
Seguì l’istinto. Scese in spiaggia, scalza, ancora in
pigiama, mentre il villaggio dormiva. Il mare la attendeva, calmo e piatto come
uno specchio. Quando vi mise piede, non affondò. Le onde si aprirono sotto di
lei, solide come vetro liquido.
Camminò sull’acqua, seguendo un banco di pesci-luce
che disegnavano sentieri tra le costellazioni riflesse. Ogni passo era un
ricordo dimenticato che riaffiorava: una promessa fatta da bambina, una storia
raccontata dalla nonna, un sogno che credeva perso.
Raggiunse il centro del mare, dove il cielo toccava
l’orizzonte. Lì, un portale fatto di corallo e vento l’attendeva.
Attraversandolo, Mara non sparì: si risvegliò, davvero. Conchiglia ancora in
mano, sabbia tra le dita, e il cuore, finalmente, pieno di risposte.
Prossimo
appuntamento il 2 giugno con un nuovo incipit e tante storie da raccontare!!!
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