E quando apparirai sul confine rosso dell'orizzonte beneamata agognata immagine non sciogliere i tuoi contorni nei colori dei tramonti.

mercoledì 30 maggio 2012

Recensione di Francesca Paola Simon

Testo linguisticamente semplice e lineare, che predilige una struttura paratattica delle proposizioni, quindi di gustosa leggibilità, esso è la narrazione di un personaggio divenuto leggenda, vissuto nell’Irlanda del XVIII secolo: Turlough O’Carolan.
Il racconto è inserito in un preciso quadro storico che fa costante riferimento all’annosa contrapposizione culturale e, soprattutto, religiosa tra irlandesi e inglesi, tra cattolici e anglicani, e alla guerra che ne derivò: l’autore descrive nel capitolo VIII l’attacco degli inglesi, rappresentandone l’orrore e lo sfacelo attraverso una sapiente “Guernica” di parole che dipingono e rendono vivida ogni immagine di morte e devastazione.
Il protagonista è un musicista, cieco sin dall’età di 18 anni, ma dotato di una rara sensibilità che riesce a esprimere attraverso la sua arte: la musica.
Per mezzo della sua arpa, “l’ultimo bardo” riesce ad affascinare (nella piena accezione del termine da cui il verbo deriva: “fascinazione”) chiunque gli presti ascolto, proprio come faceva il mitico Orfeo con la sua preziosa cetra. E qui si intravede l’omaggio che l’autore fa alla forza prorompente del linguaggio musicale, che si fa linguaggio universale dell’esperienza dello spirito umano.
La biografia di Turlough O’ Carolan viene inserita all’interno di un’invenzione letteraria, che sfrutta maturamente il topos del viaggio: viaggio come pellegrinaggio all’interno di una regione, viaggio come metafora di introspezione, come recherche, come aspirazione al compimento della felicità esistenziale.
Si tratta, pertanto di un racconto verisimile, che – per dirla alla maniera del grande Manzoni - ha il vero per oggetto (la biografia del musicista), l’utile per scopo (il messaggio finale, l’insegnamento al lettore), l’interessante per mezzo (l’invenzione letteraria).
Non pochi sono i rimandi alla tradizione letteraria:
  • Il bardo è cieco, proprio come il mitico Omero: ma proprio tale stato di privazione, di menomazione fisica rende possibile il miracolo di “vedere” nel buio, di cercare la luce e di intravederla attraverso la sensibilità artistica.
  • Il bardo compie, attraverso il suo canto, un’azione “fascinatrice”, seducente, come il divino Orfeo della mitica regione arcadica.
  • L’amicizia, il profondo e indissolubile legame tra O’Carolan e il suo fedele amico Phelàn rimandano al rapporto tra Don Chisciotte e Sancho Panza nel romanzo di Cervantes; ma si possono ritrovare anche Virgilio e Dante della Divina Commedia, ossia il rapporto tra il maestro, la guida e l’allievo che deve pervenire alla conoscenza.
Si può, così, intravedere il saggio proposito rinascimentale dell”imitatio in inventione”, che carica il testo di forti insegnamenti provenienti dai grandi personaggi e dalle grandi opere del passato e, contestualmente, di originalità inventiva propria dell’autore.
Infine, si consiglia la lettura dell’opera anche ai più giovani, perché il libro è portatore di grandi valori:
  • La contrapposizione tra le devastazioni causate dalla guerra e il bisogno di realizzare i sogni nonostante le avversità;
  • La profondità dei legami affettivi, e in particolare dell’amicizia;
  • L’aspirazione al raggiungimento di un sogno attraverso l’arte;
  • La spasmodica ricerca di perfettibilità, che spinge l’uomo a valicare i confini dei propri limiti, al fine di esprimere se stesso nel migliore dei modi possibili.
Sta proprio in quest’ultimo punto la forza di questo racconto: ricordare ai nostri giovani -intorpiditi da un consumismo che tutto annienta, soprattutto i sogni e la fantasia- che l’essenza della vita sta proprio nella forza della ricerca, nella spinta a cercare un volo, nello sforzo di vedere realizzato un progetto di vita. E tante volte sono proprio le difficoltà, gli sforzi, le attese a rendere più bella la vita e più desiderabile il raggiungimento di un traguardo.
Dopo pochi giorni, agonizzante sul letto di morte, Carolan chiese la sua arpa. […] La musica che usciva fuori dalle corde dell’arpa riempirono la casa e il cuore di chi ascoltava, per sempre. […] Addio al suo inseparabile ed amato amico Phelan che lo aveva accompagnato nel pellegrinaggio della sua vita, sempre alla ricerca della felicità e della serenità interiore e di quella maledetta corda che non vibrava mai come avrebbe voluto. Ma quella corda adesso suonava e vibrava come il suo cuore aveva sempre desiderato. E pianse commosso”.

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