Aleksej Apuchtin (1840-1893)
La frase di Aleksej Apuchtin, tratta dal "Diario di Pavlik Dol'skij" – "Valutare le proprie qualità è ancora più difficile che le proprie azioni" – apre un abisso di riflessione sull'autoconsapevolezza e sull'introspezione. La difficoltà di auto-valutarsi è un tema che attraversa la storia della filosofia e della letteratura, e la frase, pur nella sua apparente semplicità, porta con sé interrogativi profondi e universali.
Per comprendere la verità nascosta dietro queste parole,
dobbiamo prima fare una distinzione tra due elementi fondamentali: le azioni
e le qualità.
Le azioni sono, in un certo senso, esterne a noi. Sono
visibili, misurabili, tangibili. Ogni comportamento che manifestiamo nel mondo
può essere osservato, classificato, analizzato. Siamo abituati a giudicare noi
stessi, e gli altri, attraverso le azioni che compiamo: un atto di gentilezza,
una decisione difficile, un errore. Le azioni, essendo manifeste, ci offrono
una base più solida per l'auto-valutazione, poiché la loro esternità le rende
più facili da catalogare. Tuttavia, questo non significa che sia sempre facile
comprendere il significato o le motivazioni alla base di un'azione. Siamo
spesso influenzati da emozioni, pregiudizi e circostanze che distorcono la
nostra comprensione delle nostre stesse scelte.
Le qualità, al contrario, sono quelle caratteristiche
più intime e personali, che risiedono nel profondo del nostro essere. Sono le
virtù, i difetti, le inclinazioni interiori che, pur non essendo sempre
visibili, ci definiscono in modo più essenziale. La verità sulle nostre qualità
è spesso offuscata da una serie di maschere che indossiamo quotidianamente: il
ruolo sociale che ricopriamo, le aspettative degli altri, le convenzioni che ci
spingono a conformarci. Quando ci guardiamo allo specchio, non vediamo
semplicemente una persona che compie azioni, ma una persona che è, e
quella persona è definita dalle sue qualità interiori. Eppure, queste qualità
non sono sempre facili da discernere. Spesso, siamo i più ciechi di fronte a
ciò che ci rende unici o difettosi, poiché tendiamo a edulcorare la nostra visione
di noi stessi.
Questa difficoltà nel valutare le proprie qualità non nasce
solo da una semplice mancanza di oggettività, ma anche dalla complessità del
nostro io. Le azioni, per quanto possano essere complesse o contraddittorie, si
realizzano in un determinato momento e luogo; le qualità, invece, si
intrecciano nel nostro essere in modo più profondo e sfumato. Come possiamo
giudicare la nostra integrità, il nostro coraggio, la nostra lealtà, quando
questi aspetti si rivelano attraverso azioni che possono avere motivazioni
complesse, maschere diverse e momenti di debolezza? Una singola azione non può
mai essere il riflesso perfetto di chi siamo, poiché ogni azione è il frutto di
una condizione psico-emotiva e di circostanze esterne che potrebbero non riflettere
la nostra essenza più profonda.
Ancora, non possiamo dimenticare la naturale tendenza
dell’essere umano ad auto-ingannarsi. Il nostro rapporto con noi stessi è
spesso influenzato da ideali e aspettative che non sono mai del tutto
realizzati. In altre parole, tendiamo a costruire una visione ideale di noi
stessi, una versione che ci piace di più, e cerchiamo di uniformare le nostre
azioni e qualità a quell'immagine. Eppure, la realtà delle nostre qualità è
meno semplice: sono le imperfezioni, le debolezze, i lati oscuri che, alla
fine, costituiscono la nostra vera natura. La difficoltà di valutarsi in modo
sincero nasce anche dal fatto che non vogliamo affrontare la nostra
vulnerabilità, preferendo vivere nell'illusione che siamo più virtuosi, più coraggiosi,
più giusti di quanto non lo siamo davvero.
Un altro aspetto cruciale che rende difficile la valutazione
delle proprie qualità è la costante evoluzione dell'individuo. Le qualità,
diversamente dalle azioni, sono influenzate dal tempo, dalle esperienze, dalle
sfide. Non siamo gli stessi ieri rispetto a oggi; le nostre qualità possono
evolversi, rafforzarsi, indebolirsi o trasformarsi in qualcosa di completamente
diverso. Un errore che spesso facciamo è quello di giudicarci staticamente,
come se le qualità che possediamo in un determinato momento siano immutabili e
assolute. La nostra essenza, tuttavia, non è fissa, ma un fluire continuo, e
cercare di identificarla con precisione in un dato momento può risultare
un'impresa impossibile. La difficoltà sta nel fatto che spesso ci vediamo non
come siamo, ma come eravamo, o come vorremmo essere.
All'interno della narrativa di Il diario di Pavlik
Dol'skij, questo tema dell'auto-valutazione può essere visto come una
riflessione sulla giovinezza e sull'inevitabile maturazione che accompagna
l'esperienza. Pavlik, forse, si trova in una fase della vita in cui la
comprensione di sé è ancora incompleta, e proprio questo lo spinge a riflettere
sull'impossibilità di valutare le proprie qualità. La giovinezza è il periodo
in cui ci si forma, e dove, soprattutto, l'identità non è ancora completamente
definita. Di fronte all'incertezza del futuro, ogni scelta e ogni riflessione
riguardo a sé stessi risulta più fragile e incerta. È il momento in cui i
giudizi su se stessi oscillano tra illusioni di perfezione e dubbi
paralizzanti.
In conclusione, la frase di Apuchtin ci invita a una
riflessione sincera sulla difficoltà di conoscere davvero se stessi. Se le
azioni sono più facili da osservare e giudicare, le qualità sono sfuggenti,
misteriose e spesso contraddittorie. La ricerca di una vera comprensione di sé
è, forse, il viaggio più arduo che un individuo possa intraprendere. Essa non
si conclude mai, è un processo continuo di scoperta, di lotta e di
accettazione. La difficoltà nel valutare le proprie qualità non è una
debolezza, ma una manifestazione della complessità dell'essere umano. Accettare
questa complessità, con tutte le sue sfumature, è forse l'unico modo per
giungere a una comprensione più profonda e, al contempo, più umile di noi
stessi.
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