E quando apparirai sul confine rosso dell'orizzonte beneamata agognata immagine non sciogliere i tuoi contorni nei colori dei tramonti.

domenica 15 gennaio 2017

Intervista allo scrittore Robert Sanasi, autore di "Dublin Calling. Generazione in fuga"


"Dublin Calling. Generazione in fuga"


Intervista a Robert Sanasi

1)Cominciamo col raccontare di te e dei tuoi studi.

Vengo dalla provincia di Lecce. Ho fatto il Liceo Classico nella mia città natale, Nardò, e dopo aver conseguito la laurea in Comunicazione a Lecce mi trasferii inizialmente a Bologna in cerca di un lavoro e poi a Dublino.

2) Come e quando hai iniziato a scrivere esattamente e per quali ragioni?

Intorno ai 22 anni se non ricordo male. Ricordo che era per me un periodo di grande “noia”, di stasi, d’immobilità, in un certo senso ebbi una sorta di “crisi esistenziale” e un amico mi prestò e raccomandò “On the road” di Kerouac. Fu amore a prima vista e In qualche modo mi aprì la mente. Sentivo il bisogno di evadere e di esprimermi in un modo nuovo. Iniziai con brevi poesie fino a provare la prosa con un mio primo romanzo breve che resta ancora nel cassetto, scritto di getto a mano in una grafia ad oggi incomprensibile anche a me stesso e che in verità era molto acerbo, molto ingenuo… ma mi affascinava l’idea di scrivere, raccontare la vita con parole mie.

3)A che genere di autori ti avvicini maggiormente? Quali letture e scrittori prediligi maggiormente e quali esempi ti portano?

Come detto sopra, Kerouac è stato quello che ha acceso la miccia e rimane uno dei miei autori preferiti non solo per il modo di scrivere ma per quello di “sentire” le cose. Inevitabilmente gli autori che ami finiscono per influenzare anche la tua scrittura e visione letteraria. Altri sono Fante, H. Miller, Hamsun, Bukowski, Rimbaud, Cèline, Tondelli. Mi piacciono quindi gli scrittori che viaggiano, che sperimentano nella vita e nell’arte, che se ne fregano delle regole e mettono tutto sulla pagina, è quello che mi emoziona maggiormente e che vado ricercando nelle mie letture. Anche Joyce, P. Roth, Buzzati, molta letteratura francese… Apprezzo tantissimo la poesia italiana con la musicalità e forza della nostra lingua.

4) Raccontiamo della tua opera "Dublin Calling. Generazione in fuga". Di cosa parla esattamente? E quanto di te c'è nell'opera?

“Dublin Calling” è un romanzo semi-autobiografico, quindi basato per la maggior parte su esperienze realmente vissute dal sottoscritto nella sua permanenza a Dublino durata circa sei anni. C’è tanto di me, quindi.

Giacomo è un giovane italiano che a 26 anni vola in Irlanda alla ricerca di un lavoro e nuove esperienze di vita, tutto quello che gli è mancato negli anni precedenti in Italia. L’entusiasmo iniziale viene di colpo spezzato da un dramma famigliare e da allora in poi continuerà ad avere, per così dire, l’anima divisa in due: tra la sua casa in Italia e la sua nuova casa a Dublino. Conosce un grande amore straniero e tanti altri più o meno temporanei. Lascia Dublino come a voler fuggire da qualcosa o sperimentare altro sotto altri cieli ma la città lo richiama sempre a sé lungo un percorso di crescita e trasformazione della sua personalità, tra incontri occasionali, pensieri e dubbi, nell’inquieta e caotica ricerca d’una propria identità e significato.

5) Quali sono le principali difficoltà che hai incontrato o che stai incontrando nella promozione del tuo libro?

Son quelle di qualsiasi autore esordiente che non abbia già un nome nell’editoria o in qualsiasi altro settore. Il problema quindi è la visibilità: da solo cerco di far leva sul mio network di amici, conoscenti e lettori e uso molto i social.

Fortunatamente ho trovato un editore in Inghilterra che ha appena pubblicato il romanzo in inglese. Quindi tale versione si avvarrà anche dei suoi sforzi nella promozione e marketing.

6) Quale sarà la tua prossima opera? E quale argomento toccherà?

In realtà ho già altri tre romanzi completi. Il mio secondo è ambientato a Parigi, dove trascorsi un paio di mesi subito dopo aver lasciato l’Irlanda, ed è incentrato sulla ricerca dell’amore nella “città dell’amore”. E’un romanzo più letterario, poetico, erotico e romantico allo stesso tempo, in cui il linguaggio diviene più ricercato e immaginifico rispetto a “Dublin”.

7) C'è qualche domanda che vorresti ti fosse rivolta nelle varie interviste?

Sono aperto a qualsiasi domanda. Lascio libertà totale all’intervistatore.


INCIPIT DEL LIBRO

Avevo letto Gente di Dublino tanti anni prima per un esame all'università e mai e poi mai mi sarei aspettato di ritrovarmi proprio qui a casa di Joyce. Nella Dublino moderna del Duemila. Io che sognavo da anni di andare in Australia, la terra del sole, mi ritrovai invece di colpo in Irlanda, sotto nuvole permanenti. E mai e poi mai mi sarei sognato di ritrovarmi a scrivere un giorno di tutto questo, qualcosa di scritto, di tangibile, di vivo ancora vivo da lasciare in mezzo a quelle strade che mi hanno visto crescere tra i problemi, le speranze e le follie del giovane davanti alla porta del mondo adulto.

Dall’oblò la scrutavo con dubbio la città, con nelle orecchie Where the streets have no name degli U2, pensando a quanto tempo c’avrei trascorso, se un paio di settimane, di mesi, anni, tutta una vita? Era il primo passo in quell’abisso d’incertezza, paura ed eccitazione prima del salto.

Atterrai a Dublino una sera d' autunno che in Irlanda vuol dire già inverno e i primi giorni restai a casa del mio amico e compaesano Gio'. Lo avevo incontrato per caso un pomeriggio nella nostra Nardò e mi aveva invitato sapendo che lì, durante il boom economico della Tigre Celtica, avrei potuto trovare un lavoro e uno stipendio fisso. Cose che in Italia sembravano un sogno irrealizzabile. Arrivai a Dublino con già un buon inglese ma sbattei subito la testa contro il terrificante accento irlandese. Capire qualcosa dalla bocca degli autoctoni, nei primi tempi, era una missione impossibile!

Venivo da un anno a Bologna, dove mi ero trasferito dal Salento in cerca di un'opportunità di lavoro e vita dopo la laurea. Avevo fatto solo lavoretti da promoter e altre cose del genere, con

pagamenti a tre mesi e curricula inviati ovunque in Italia e all’estero senza mai ricevere risposta. Venivo chiamato solo per lavori di vendita e agenzie immobiliari. Ma io non ce l'ho mai avuta la stoffa del venditore, no! Ho sì una certa eloquenza e parlantina, ma non datemi mai da vendere nulla. Non sono affatto avvezzo a convincere gli altri di qualcosa o ad obiettivi da raggiungere pena la fustigazione in sala mensa di stile fantozziano. No no no! Mi piace interloquire con le persone, quello sì. Cercavo un lavoro di comunicazione, in linea con la mia laurea ma tale ambito era troppo grande o troppo piccolo a seconda dei punti di vista. Impenetrabile. Quindi cosa feci? Me ne andai a Dublino a cercar lavoro in qualche call center. Più comunicazione di così?

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